Con “Burials Foretold” gli Unto Ashes soffiano sulla loro quindicesima candelina, confermando la longevità della creatura di Michael Laird, tutt’altro che una meteora nel panorama del neo-folk/dark a stelle e strisce.
Formati nel 1997 e da sempre seguiti dalla Projekt di Sam Rosenthal (Black Tape for a Blue Girl), gli Unto Ashes rimangono pur sempre una realtà di nicchia (e anomala per i lidi statunitensi – più vicina semmai alla Germania dei vari Forseti, Darkwood e Sonne Hagal), ma meritano sicuramente attenzione e rispetto per la qualità della loro proposta musicale: considerazione che si accresce se si pensa che Michael Laird ha di recente partecipato alla lavorazione di un evento importante quale è stato il ritorno discografico, sulla lunga distanza, dei seminali Fire + Ice.
E proprio dal folk ancestrale dei Fire + Ice prende ispirazione la musica degli Unto Ashes, veicolo espressivo che sa annettere a sé anche elementi etnici e sfumature dark-wave. La presenza di voci femminili ha fatto sì che la loro proposta venisse nel tempo accostata principalmente ai Dead Can Dance, ma al di là delle innegabili analogie con l'operato di Brendan Perry e Lisa Gerrard (influenza riscontrabile soprattutto nei primi album), direi che a partire dalla svolta dark/cantautoriale intrapresa da un paio di lavori a questa parte, il termine di paragone più calzante rimane proprio il guru Ian Read dei sopracitati Fire + Ice.
Ma non è solo il quindicesimo anno di attività che viene festeggiato con l'ultima fatica discografica (l'ottava, se si conta anche l'EP “I Cover You with Blood”, del 2003): l'uscita di “Burials Foretold”, avvenuta nel corso del 2012, celebra anche il ritorno in formazione di Ericah Hagle e Natalia Lincoln (che parteciparono alla gestazione del capolavoro “Empty Into Withe”), membri storici di un collettivo che rimane comunque imperniato attorno alla figura di Michael Laird, fra il mormone e il misantropico (dark)cantautore, personaggio che per molti aspetti assomiglia all'amico/collega B'Eirth dei connazionali In Gowan Ring, con i quali gli Unto Ushes hanno a spartire più di uno spunto.
Che dire dell'album: se la loro produzione del passato vi è sembrata un po' barocca, “Burials Foretold” non dovrebbe dispiacervi, dato che esso ha il pregio di accantonare definitivamente la componente sintetica, optando per l’adozione di soli strumenti acustici, grazie al quale il sound si fa più naturale e suggestivo. E se avete apprezzato la svolta intrapresa negli ultimi lavori (“Songs for a Widow” e “The Blood of my Lady”), allora troverete in “Burials Forefold” una piacevole conferma: anzi, questo album potrebbe piacervi persino un pelo di più, dato che in questa opera, maggiormente equilibrata e raffinata, troviamo un Laird ulteriormente maturato, senz'altro come interprete, ma anche come compositore/arrangiatore, nonostante la sua introspezione, almeno apparentemente, punti alla semplicità.
La musica degli Unto Ashes si fa limpida e scorrevole, i suoni carezzevoli, le atmosfere cangianti e crepuscolari: quindici le gemme, incastonate nei soli tre quarti d’ora di durata dell’opera, quindici tappe che compongono il viaggio degli Unto Ashes in un passato che si tinge di mistero, di celebrazioni pagane, di romanticismo e malinconia: quindici bozzetti acustici ispirati da arie semplici e portatori di ambientazioni soffuse ed intime, dove a prevalere sono le tre voci e la chitarra, qua accompagnate dalle carezze del violoncello di Catherine Bent, là supportate dal soffiare evocativo del corno di William Wiegard, e poco altro ancora (le percussioni, lo xilofono, il pianoforte del factotum Laird).
La manifestazione più strettamente legata alla dimensione etnica è individuabile nella sola “Pilzentanz” (con tanto di cornamuse e percussioni), mentre lo spirito più propriamente “medievaleggiante” viene evocato in brani come “Spring Magic” e “Young Men Leave for Battles Unknow” (entrambe sorrette dai volteggi grevi di un lugubre harmonium): episodi che arricchiscono di sfumature un flusso sonoro fluido ed omogeneo, che non viene alterato nemmeno dalla presenza di due audaci cover , “Kathy's Song” degli Apoptygma Berzek e “Running with the Devil” dei Van Halen (!!!), entrambe irriconoscibili e calate in perfetta sintonia – nonostante la distanza stilistica rispetto agli originali – fra le sensazioni emanate dal resto dell'album.
L'ascolto di “Burials Foretold” non costa quindi né fatica né pazienza all'ascoltatore, basta vedere come scivolano via gioielli come “Night is Coming Soon”, “I Remember Happyness”, “Piper's Song”, Worm's – Meat”, “Too Late to Begin”, giusto per citarne alcuni (perché il discorso vale per tutti i brani che compongono l’album), sull'onda delicata di arpeggi ipnotici e cullanti intrecci vocali. E se “Burials Foretold” ha un difetto, è quello di scorrere troppo fluidamente, difetto che porta con sé il rischio che l’album, ad un ascolto disattento, possa transitare senza lasciare il segno, essere quindi sottovalutato, non sondato nella sua reale profondità.
Niente di fenomenale, intendiamoci, siamo nella media delle produzioni di questo genere, ma rimane comunque un bel sentire. Lasciatevi quindi cullare…
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17 gen 13gigi sabani
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