La prima volta che ho sentito Das Lied Van Der Erde mi sono dato dello scemo.

Mi piaceva il titolo, cosa vi devo dire. Il Canto Della Terra.

Vado, lo compro, lo metto sul Cd. Edizione di Bernstein.

Scemo, scemo, scemo.

Mahler, hai letto che è tanto bravo, bello, intelligente, viene dopo Wagner. Wagner mi sta sul cazzo. Questo al primo pezzo.

Quando - con enorme forza di volontà sono arrivato all'ultimo, a Der Abscheid - ho deciso.

Nei tre anni seguenti ho profuso ogni mia energia a procacciarmi ogni singola cosa che il signor Gustav aveva, anche solo in bagno, composto.

Poi - un brutto giorno - proprio dalle parti di Dobbiaco, mi procaccio un concerto per pianoforte, mi pare (non fatemi fare lo sforzo di voltarmi e guardare, please), scritto da Mahler quattordicenne. E sprofondo nel baratro. Perché ho tutto, proprio tutto quello che il Signore di Kalischt ha scritto.

E la domanda - semplice e terribile - è: cazzo faccio adesso?

Anni dopo sarebbe arrivata la semplice risposta: appassionati al jazz (ma questa è davvero un'altra storia, e certo mica l'ho fatto apposta). Lì non finisci mai, non puoi finire.

Ma questo molti anni dopo.

Negli anni della disperazione, invece, cerco di appassionarmi a precursori e seguaci. Mi piace abbastanza Schoenberg, ma crollo su Wozzeck di Alban Berg. Mi spiace e mi vergogno a dirlo, ma penso di quest'opera quello che Fantozzi pensava della corazzata Potemkin.

Boh, tutto ciò è invero una parentesi, una delle tante.

L'anno è il 1999, non chiedetemi perché lo so, ma lo so. Non vado io in un negozio di dischi. C'ho da fare. Mamma mia che fatica, devo stare assolutamente neutro e non aprire mille parentesi che mi vengono in mente (saprei dirvi anche il giorno esatto, ma basta).

Arriva, con in mano un disco. Dice c'è scritto sopra Gustav Mahler e non ce l'hai.

Prima reazione: cazzo l'ultima volta che mi hai fatto un regalo del genere era il 1984. Il 15 gennaio. Quel giorno è iniziata La Grande Nevicata Di Milano. (Madonna, come è difficile parlare di questo disco senza parlare di me).

È un disco di Uri Caine (ma chi cavolo è?) dal titolo Gustav Mahler dal Vivo A Dobbiaco.

Arriviamo a casa, lo metto. Sento il primo pezzo. Lo amo. È LA MUSICA CLASSICA. È Mahler, non rifatto pedissequamente. È la sua anima, il suo cuore che parla. È diversissimo, ed è esattamente quello che lui voleva.

L'ultimo pezzo, di questo doppio capolavoro, si chiama The Farewell. Ed è Der Abscheid. Comincia con un lungo canto in ebraico. Finisce con un ringraziamento a un certo Dj Olive.

Quando ho iniziato a scrivere recensioni in questo cavolo di sito mi ero fatto una regola. Non ascoltare mai quello che recensivo. Non recensire cose che stavo ascoltando.

Ho infranto la regola.

Come ogni singola volta, come in ogni singola versione di questa Meraviglia sto piangendo.

È la canzone dell'addio.

Mi dispiace per voi, se non la conoscete. In questa o in qualunque altra versione.

Andatevene affanculo. (almeno per mezz'ora).

Addio.

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