Quanti di voi conoscono questo gruppo? Forse neanche il 5%, e questo è un dato sconfortante, perché dimostra che la scuola di MTV e i professori vee-jay hanno fatto bene il loro dovere, dicendovi sempre cosa fare e cosa ascoltare, filtrando attentamente ogni contenuto sovversivo o semplicemente interessante, oscurando il nostro panorama sonoro nazionale a favore di quello più colorato, sensazional-patinato d’ oltreoceano. Nessun problema, rimedio io alla lacuna.
Gli Uzeda, gruppo di Catania formato dalla cantante Giovanna Cacciola (ora nei Bellini), dal bassista Raffaele Giuliano, dal batterista Davide Oliveri e dai chitarristi Giovanni Nicosia e Agostino Tilotta (anche lui nei Bellini), nascono nel 1987 e danno prova della loro abilità nel primo album “ Out Of Colours” . Nel 1993, in piena ondata grunge, chiamano a produrre “Waters” , loro secondo disco, niente meno che Steve Albini. Già il fatto che Albini si mobiliti e venga in Italia per produrre un disco dovrebbe farvi presagire di che cosa andremo a parlare, almeno a livello di attitudine e integrità dei nostri eroi siciliani. Sarebbe stato troppo facile, sull’ onda del successo dei vari Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden eccetera, sfornare un dischetto anonimo e corrispondente alle aspettative della maggior parte della gente, invece (Stupore!) in questo lavoro possiamo giusto fare qualche analogia con i Sonic Youth solo a livello di chitarrismo, poi il diverso emerge lampante: sarebbe un errore assimilare la voce di Giovanna Cacciola a quella di Kim Gordon, perché oltre ad essere più pulita sembra emergere dall'inconscio più profondo, come sarebbe grave associarla alle corde vocali di una qualsiasi riot grrrl (e in quel periodo ce n’ erano parecchie), perché non è mai slabbrata, mai violenta, mai impetuosa. . c’ è una freddezza di fondo, come se fosse una ragazzina intrappolata in un iceberg, e una calma lucidità quasi chirurgica. Altra cosa che li allontana dal panorama noise/grunge a noi familiare è la sezione ritmica. La batteria comanda su tutto, da una coerenza d’ insieme ad ogni pezzo quasi matematica, vieta alle chitarre di allontanarsi troppo in divagazioni intellettualistiche ormai cliché alla Moore/Ranaldo. . qualora la batteria non assolva questo compito, ci pensa il basso a far andare il telaio sonoro nel verso giusto. Questo rigore non si troverà nel loro disco capolavoro “Different Section Wires” , pubblicato da Touch&Go, dove a dominare sarà il clangore della Chicago più nichilista (Big Black, Rapeman) o dei Jesus Lizard.
Veniamo ad illustrare i pezzi che compongono l’ album: 1)”Well Paid” : si sente subito che a comandare sono le percussioni, in un ritmo quadrato, che ha un non so che di glorioso. Qualche influenza zeppeliniana di fondo. 2) “Needle House” : parte come una ballata soffusa. Ogni gruppo post-qualcosa italico deve la sua fortuna a chitarre di questo genere. Qui comanda il basso, un basso che sembra suonato da una mummia da quanto il suono resta sordo. 3) “Save My Snakes” : ecco un’eco del Big Black sound nell’ incedere dei suoni. Paranoia veloce vs cantato onirico, quasi parlato, quasi scarno. Da canzoni come questa si capisce come mai Albini li abbia voluti produrre. 4) “I’ m Getting Older” : disincanto testuale. Un pezzo che ricorda le acque del titolo del disco. Inizio lento e breve esplosione centrale sempre contenuta, un po’ a la Slint. Le chitarre sono ossessionanti come nel noise, ma mai caotiche. 5) “ Pushing All The Clouds” : ecco il lentone, il pezzo più accessibile e forse un po’ più debole dell’ album. Ballata in crescendo con qualche inserto più forte, ma non per questo invadente. 6)” Tied” : basso e voce, il pezzo più esangue. Breve esplosione rumoristica finale. 7) “It Happened There” : pezzo movimentato. La sezione ritmica spacca tutto e ancora una volta conferma che questo è un lavoro con i controcazzi. 8) “ 30” : anche qui la batteria è immensa. La scuola è sì quella dei Big Black, ma dobbiamo tenere presente che qui nessuno si avvale della drum machine. Inizio caotico, seguono le chitarre, basso quasi cross-over/funkeggiante e cambi di tempo continui. 9)”Roaming World” e 10) “Big Shades And Tides” , coerentemente a quanto fin’ ora detto vanno a chiudere il tutto.
Per il finale di questa recensione voglio sottolineare quanto mi girino le palle per il fatto che in Italia siano esistiti ed esistano gruppi di questa caratura. . gruppi che stoltamente vengono ipersottovalutati a favore delle Pausini nazionali o dei più comodi Subsonica/Marlene. . a conferma di questo rendo noto che ci sono stati solo due gruppi italiani ad avere avuto l’ onore di essere chiamati dal fu John Peel per registrare le celebri sessions: uno era la PFM, l’ altro questo qua, e per ben due volte. Sfido chiunque a trovarmi un gruppo che nel 93, e in questo Stato di cui andiamo così fieri a livello sonoro (ovviamente è ironia), suonasse a questo livello e senza nessuna pretesa da mainstream. Uzeda Are People Who Struggle To Conserve The Right To Be Themselves.
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