Dalla serendipità ne faccio motore di vita e durante il tragitto lo sguardo curioso e fuggevole si riversa ad ogni zingaro schivo che si palesa goffamente ai bordi della strada. “Il nome rimosso” di Valentino Zeichen è uno di quelli che una volta ricevuta la monetina come segno di ringraziamento sputa per terra e ti maledice.
Andandotene pensi non abbia tutti i torti.
Non so chi sia realmente Zeichen e m’importa poco saperlo. Sarà uno che sopravvive con aria imperturbabile nel sentirsi nota al margine di un foglio, con la sicurezza di essere sempre l’ultimo sulla bocca degli altri e che prima di tutti nel tempo si stropiccia e sbiadisce.
Da ciò che leggo è uno che ha condiviso l’infanzia con la guerra e che cambia binari con la stessa dipendenza fisica con cui si scambiano le sigarette nel momento del bisogno: Marlboro, Lucky Strike, Astor, Muratti, Rothmans, Lido, Camel.
Le donne stentano a stare con un uomo che non sa quello che vuole, se non sa neanche dove andare ha la fortuna di non incontrare nessuno e risparmiarsi pure certi rabbuffi.
Puzza molto in sostanza.
Cesellare, smussare, rivettare, incasellare, limare, arrotondare -e tanto altro- le parole si direbbe in questi casi, solo che coramelle scalfite e ardesie corrose io non ne vedo, residui di pece e tabacco nelle pagine non ce ne sono, spolette e scampoli nemmeno l’ombra.
Tutto candido, tutto in ordine, perfino l’arroganza di lasciare uno spazio vuoto seguito da soli due versi.
Mi sento preso in giro.
Odio i poeti e i libri di poesie;
Odio il fatto che ti fanno ricordare come riempire ogni spazio senza sprecare neanche una parola.
Odio le loro parole;
Li odio perché sono bugiardi.
Quello zingaro mi ha mentito e adesso rivoglio indietro la mia moneta, è lui che sta guidando ed io sono in mezzo la strada. Lui ha torto, io ho ragione!
“Se la linea
della tua vita
nella mano
ti pare breve,
allungala con la matita
e chissà? che l’innesto
non riesca.”
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