Bambini invisibili …sotto gli occhi di tutti.

Alla 62sima mostra del Cinema di Venezia del 2006, venne presentato fuori concorso questo film “All the invisibile children” ad opera di un gruppo di registi più o meno famosi (da Spike Lee a Katia Lund) uniti assieme da questo progetto di sensibilizzazione sul problema dell’infanzia abbandonata, senza distinzione tra razza, religione o cultura.
Un film “corale” dunque, con il sostegno dell’Unicef , della PAM e dell’Onu, fatto di 7 episodi firmati ognuno da un regista diverso, affrontati utilizzando diverse chiavi narrative e con lo stile consono del regista coinvolto.

• Medhi Charef col suo “Tanza” ci parla di un bambino-guerrigliero africano, combattuto tra la sua voglia di giocare e la cruda realtà di una guerra non voluta e nemmeno capita.
• Emir Kusturica com “Blue Gipsy” ci racconta l’odissea carceraria di un bambino rom che, dopo la liberazione e di fronte a un mondo ostile e cattivo, decide deliberatamente di tornare nel carcere, ormai più familiare e umano della società esterna.
• Spike Lee con l’angosciante “Jesus Children of America” (forse il migliore dei sette!) affronta il delicato tema della discriminazione a scuola di una bambina che scopre, casualmente, di essere figlia di due genitori tossicodipendenti che le hanno trasmesso l’Aids.
• Katia Lund, nel corto “Bilù & Joao” ci racconta 24 ore di vita di due bambini di San Paolo del Brasile, alla ricerca cartoni e lattine per guadagnare pochi soldi in una città di degrado e violenza.
• I fratelli Scott (uno è il famoso Ridley!), dirigono insieme lo struggente “Jonathan”, la storia di un fotoreporter che torna ai ricordi della sua infanzia tormentata (che ricorda vagamente Il Posto delle Fragole di Bergmann).
• Il connazionale Stefano Veneruso firma il sesto episodio (forse il più debole) narrando in “Ciro” le malefatte di uno scugnizzo napoletano alle prese con una Napoli degradata ed ostile.
• John Woo, nel film “Song song a little cat” racconta in un parallelismo incrociato le due vite della giovane orfanella Little Cat e della ricca ma triste e affranta Song Song.

Un film quindi frammentato, con degli alti e bassi non indifferenti, che tenta di raccontare disagi comuni, piccole e grandi storie che quasi mai il cinema riesce a raccontare con un realismo e una poesia che toccano corde profonde di sensibilità, che ognuno di noi troppo spesso tende a dimenticare. Un film a tratti amaro (l’episodio di Spike Lee è di una crudezza che non lascia scampo), a tratti divertente (certe scene del film di Kusturica sono davvero spassose) e a tratti dal sapore quasi documentaristico (il film di Katia Lund sembra quasi girato in presa diretta per la naturalezza dei due piccoli interpreti veramente convincenti) con la canzone portante del progetto "Teach me again", scritta e prodotta dalla nostra Elisa e interpretato da Tina Turner ed Elisa stessa.

Tecnicamente molto vario, ne risulta un quadro desolante ma sincero nel descriverci un’infanzia per certi versi senza futuro ma che racchiude in sé (nel gesto di rottura di Tanza del primo episodio, per esempio, che si addormenta nella classe dove ha appena piazzato una bomba a orologeria) una debole speranza nella capacità spontanea di questi bambini di ricercare una giustizia e un senso di comunità più ampio e vero di quello impostato dagli adulti.

Un film che forse non smuoverà di una virgola la sensibilità collettiva degli spettatori, ma un film doveroso che andava fatto, fosse solo per ricordarci ancora una volta che, al di là della facile retorica, volenti o no, siamo stati tutti bambini.
E un bambino che ha passato un’infanzia serena sarà domani un uomo migliore per sè e per la società che lo adotterà. Va da sé, che se la società in cui viviamo non ci soddisfa e ci sembra ingiusta e crudele, la colpa ricade ANCHE sull’infanzia tormentata e ingiusta che molti, troppi di noi adulti, hanno subìto negli anni passati e che non hanno saputo superare nel migliore dei modi.

Ci sarebbe ancora da chiedersi: è questa una società modellata sulle esigenze dei più piccoli? Chi si prende cura dello sviluppo psico-fisico dei piccoli uomini di domani? Spetta unicamente alla famiglia questo compito o spetterebbe maggiormente a una società che vorrebbe davvero chiamarsi civile? Cosa fare per crescere bambini (e quindi giovani che diventeranno adulti) equilibrati, psicologicamente in armonia con se stessi e preparati al mondo brutto che li circonda?

Lascio a voi le risposte o l’analisi a queste domande che il film non pone direttamente ma che lascia aperte parecchie porte che andrebbero socchiuse con la delicatezza e l’umanità necessaria in questi casi.

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