«C'È SOLO IL PUNK HC!» con tanto di punto esclamativo.

Ecco cosa campeggia in bella vista sul muro della scuola elementare del mio paesino da un paio d'anni a questa parte. Ora le cose sono due: o le finanze del borgo sono talmente dissestate che non si può nemmeno permettere di spennellare un metro quadrato di pubblico muro, oppure abito da trent'anni nella culla del punk rock e non lo sospettavo neppure lontanamente.

A prescindere da siffatte considerazioni minime, mi sono sempre chiesto se la pargoletta mano vergatrice di cotanta verità sia a conoscenza di una delle più belle storie del punk di ogni epoca e latitudine; punk tout court, accaccì o non accaccì.

In ogni caso, al pargolo gliela racconto io, la Storia con la esse maiuscola della Dangerhouse Records, che più che una Storia con la esse maiuscola è una Favola con la effe maiuscola.

E difatti, se siete tra i fortunati possessori dei due volumi antologici che ripercorrono la vicenda in questione lungo un percorso di venticinque brani, non avrete mancato di notare che le note di copertina esordiscono proprio con il familiare «Once upon a time ...».

C'era una volta a Los Angeles, dunque.

D'accordo, Los Angeles anno domini 1977 non è proprio il luogo dove ambientare le vicende di Belle Addormentate e Principi Azzurri, Pollicini, Hansels und Gretels, Bianchenevi e nani assortiti; tanto che i fratelli Grimm ed Hans Christian Andersen qui non trovano spazio.

Qui ci sono solo, in ordine analfabetico, Randy Black, Garrett Pat e Brown David, tre musici falliti che militavano in un band fallita a nome Black Randy & The Metrosquad: la Dangerhouse Records la mettono su loro tre. Una prece, fino alla fine dei giorni ed oltre.

Ora, se vi siete mai posti la fatale domanda «Ma è meglio il punk statunitense o quello inglese?», la risposta ve la potrebbe suggerire proprio un gruppo come Black Randy & The Metrosquad, ma anche i Deadbeats o gli Eyes o gli Screamers (da dove fuoriusciva Brown).

Per me, non ebbi dubbi mai; meglio il punk a stelle e strisce, perché in the U.S.A. il punk non fu solo furia e zozzeria, ma anche e soprattutto tonnellate di genio e follia mischiati in un cocktail musicale per davvero rivoluzionario e da far paura, ed il vero punk è solo quello che fa paura a reazionari, conservatori e bigotti: e tanto per dire, a me, reazionario conservatore bigotto e pure pantofolaio, i Pistols non hanno mai fatto gran che paura, figurarsi i Damned, che li ascolto in cuffia anche di notte prima di addormentarmi con la luce spenta, al massimo gli Stiff Little Fingers ed i Clash, ma non quando sbraitano di quanto gli stiano sulle palle gli Stati Uniti ma piuttosto quando fomentano una rissa bianca ed ancor più quando incitano alla rivolta nelle forme reggae di «Police & Thieves» e massimamente «The Guns Of Brixton»; gruppi come i Germs però me ne fanno molta di più, di paura, anche se in certe foto Darby Crash ha uno sguardo dolcissimo o forse proprio per questo, i Black Flag pure, gli Screamers non li ascolterei nemmeno sotto tortura prima di andare a nanna, perché poi mi verrebbero gli incubi. Per non dire di «Johnny Teardrop», che non è punk ma è quanto di più terrificante abbia mai ascoltato. Chiudeteli voi, gli occhi, se avete coraggio di affrontare i mostri sotto al letto.

Torniamo a bomba; Black Randy & The Metrosquad, i Deadbeats e gli Eyes quel poco che hanno inciso, lo hanno inciso per la Dangerhouse. Gli Screamers, ufficialmente, nemmeno hanno inciso nulla – la migliore band di rock'n'roll senza dischi all'attivo, Jello Biafra dixit – ma se lo avessero fatto, sarebbe stato per la Dangerhouse di sicuro.

Ma che razza di punk suonavano questi tizi? Perché suonavano punk, da qui non si scappa.

Sconclusionato, nessuna linearità, dissonanze, sax e sintetizzatori: per il punk duro e puro, quasi meglio e più intellegibili gli accenti free jazz di Eric Dolphy e Albert Ayler. E, poi, quegli Eyes che sembrano la versione demente dei They Might Be Giants e se ne escono con brani come «Disneyland» o titoli come «TAQN» ed «Eniwetok» che come fai a pogare ed urlare «Eniwetok» al contempo? Ma l'avete mai sentita «Trouble At The Cup», voglio sparare ad uno sbirro e stare a guardarlo mentre muore, come Johnny Cash, ho sparato ad uno, a Reno, solo per vederlo morire? E «Let's Shoot Maria»? Ma cos'è questa roba?

Te lo dico io cos'è, pargolo che te ne vai in giro ad imbrattare i muri: è punk, anche se qualcuno vorrà convincerti che è “solo” attitudine punk.

A me, questa storia dell'attitudine punk, fa impazzire: avete mai sentito parlare di attitudine jazz, attitudine folk, attitudine prog? No, ci giurerei. L'attitudine punk, al contrario, viene fuori immancabilmente in qualsiasi discorso, come le lumache dopo un giorno di pioggia. Ah, i Pogues, che attitudine punk! Sì, però pure i Blasters non scherzavano in quanto ad attitudine punk! Cazzo dite, i Jason & The Scorchers, loro sì che avevano attitudine punk. Tanto per dire che l'attitudine punk è solo un'etichetta che il punk duro e puro (archetipo che mi sta sui coglioni come pochi, perché un tempo pretendevo di esserlo mentre ero solo un coglione, appunto) appiccica a caso qua e là per non vergognarsi ad ammettere che gli piacciono pure un po' il folk, il country ed altri ameni generi. Fortissimo 'sto Johnny Cash! Per forza, suona country con attitudine punk! Magari se Johnny Cash avesse mai incontrato Darby Crash, gli avrebbe sputato in faccia (non è vero, non lo avrebbe mai fatto, ma rende l'idea). I BR&TM non citano Cash perché Cash suona con attitudine punk, ma perché loro suonano e sono punk: «I wanna shoot a cop and I wanna see him die» lo cantavano i BR&TM che era un gruppo punk, «I shot a man in Reno, just to watch him die» lo cantava Johnny Cash che non era punk e nemmeno ne aveva l'attitudine, ma essere oltraggiosi e ribelli, foss'anche solo pour epater les bourgeois e, talvolta, sparare cazzate ad effetto non è prerogativa esclusiva del punk, non lo è mai stato.

Poi, un gruppo punk come i Deadbeats, il punk duro e puro non se li caga proprio perché «Let's Shoot Maria» non inizia con «One-two-three-four» (cavolo, quanto fa male sapere che i Ramones sono quasi tutti morti), non c'è nemmeno un «Fuck you» o un «Motherfucker» nel testo e, comunque, suona strana, dov'è il classico giro di accordi MI-LA-RE? (cavolo, quanto fa male sapere che i gli interpreti originali di «Blitzkrieg Bop» sono tutti morti).

Andiamo oltre.

Sappi, caro pargoletto, che il punk duro e puro, grasso che cola se dei Deadbeats conosce «Kill The Hippies», punk nella forma, oltre che nell'abbondantissima sostanza; e sempre incisa per i tipi Dangerhouse Records, ça va sans dire.

Perchè di punk formale, la Dangerhouse ne ha sfornato in quantità industriali (industriali significa nemmeno quindici singoletti per poco più di trenta brani e poi tutti a casa).

Tanto per dire: il più grande singolo nella storia del punk? «Blitzkrieg bop»? Ci va dannatamente vicino. «God save the queen»? Non scherziamo, dai. Te lo suggerisco io: «Solitary confinement». Autori? Questa è difficile, Weirdos. Inciso per la ...? Bravo, vedi che, se ti applichi, le cose le sai. Si vede che impari in fretta, pargoletto.

E fosse solo per l'accoppiata «Solitary confinement / We got the neutron bomb». No, macché. Per la Dangerhouse hanno suonato i grandissimi Avengers, gli sconosciuti ma straordinari Bags, gli altrettanto sconosciuti e straordinari Rhino 39, propugnatori di un punk hardcore al fulmicotone quando l'hardcore ancora non esisteva, i Ramrods, che diamine, «ABCD / Let's get rid of New York», roba che durassero ancora Pistols e Damned, brani del genere comunque non sarebbero riusciti nemmeno a concepirli. E poi i Dils, a discettare di guerra di classe, odio per i ricchi e per gli immancabili signor Sotuttoio che capita di incontare nella vita; e gli Alley Cats, durati un niente come quasi tutti gli altri, ma sembravano proprio gli X per come suonavano e quasi quasi li valevano pure, gli X. E poi gli X, ovvio, quelli che invece sono durati ed hanno pure sfondato e che per la Dangerhouse hanno realizzato il singolo «Adult books / We're desperate» ed hanno partecipato alla raccolta «Yes L.A.» con una «Los Angeles» tutta nervi e potenza, decisamente più rozza di quella che sta sull'omonimo lp d'esordio, forse perché Billy Zoom del rockabilly ancora non s'era invaghito. E su «Yes L.A.» ci stava pure «No god» dei Germs.

Ah sì, dimenticavo Howard Werth, niente a che vedere con il punk, solo ottimo ed eccitante power pop, con lontane rimembranze dei Modern Lovers: pure lui popolava quella congrega di matti e ribelli con una causa radunata da Randy Black, Garrett Pat e Brown David, sempre in rigoroso ordine analfabetico.

«C'era una volta ...»: incominciava come una favola l'epopea della Dangerhouse, ma si è rivelata pure più bella di una favola perchè è accaduta per davvero.

Per cui ... consigli per gli acquisti: se avete il doppio vinile, state bene così, ché conoscete 25 brani su 34 totali; altrimenti, compratevi il doppio cd «The complete singles collection», dove c'è tutto, ma proprio tutto; oppure, se avete un pacco di soldi, gettatevi sul boxset di 14 mini cd, perfettamente riproducenti i dischi originali. Roba da feticisti, questa.

E se avrete mai un pargoletto da inziare alle gioie del punk, raccontategli questa favola, badando di omettere le parolacce sparpagliate qua e là; e vogliatemi un po' di bene se ve l'ho fatta conoscere per la prima volta; poi, prima che si addormenti, dategli un bacio e ditegli «Questo è il bacio di mammà, di papà e pure di Pinhead che questa fiaba me la raccontò tanto tanto tempo fa».

Buona notte.

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