101 gruppi, 101 canzoni, un media di meno di mezzo minuto a canzone… praticamente l’unico disco di cui si può inserire un sample di venti secondi e rischiare problemi con le leggi sul copyright, praticamente l’unico disco che potrebbe essere apprezzato dal protagonista di Memento (ricordate il film?), praticamente l’unico disco in cui non fai in tempo ad andare a leggere chi diavolo stia suonando la merdata n°57 che è già iniziata la merdata n°58.
Poi vabbè, sì, ci sono i Naked City o gli Anal Cunt, ma questa, come diceva sempre il mio gatto, è un’altra storia. Il genere? Edita dalla Fat Wreck, creatura di quell’uomo costantemente intriso di unto che è Fat Mike, questo dovrebbe già dire tutto.
Praticamente tutti i pianeti e satelliti che si muovono nella galassia emo(rroid)core, quella gustosa fetta di universo sonoro dove la batteria può scegliere solo tra due tempi: “veloce” e “più veloce”; dove il basso è suonato con plettri in travertino dello spessore di almeno due centimetri e le chitarre mettono incessantemente insieme sempre la stessa selezione di 6 differenti accordi, ogni volta in ordine un po’ differente, come giocare coi pezzi del Lego. E la voce segue, con testi che spaziano da “mi stai sul culo, faccia di merda, e ti puzzano i piedi!” a momenti più esistenzialisti del tipo “ti ho pensato stanotte, mentre mi facevo una sega nei miei calzini” (tutto rigorosamente vero).
Per non parlare di gente come i No Use For A Name, che hanno cinquant’anni per gamba ma continuano a vestirsi in pantaloncini e berretto dei L.A Lakers, perché la loro audience ha una media di 14 anni, e cantano cose tipo “Quando Fiona della III E non mi ha passato il compito di Storia del Baseball, ho capito che la mia vita era finita”. A volte, tuttavia, a onor del vero si possono trovare liriche con contenuti un po’ più elevati, e in questo gente come Joey Cape dei Lagwagon o i Propagandhi aiutano ad alzare la media.
Ma ora basta con le speculazioni teoriche, e passiamo all’analisi dettagliata dei brani, uno per uno:
“Short attention span” dei Fizzy Bangers, con i suoi 8 secondi complessivi di durata, apre il disco e ne è il manifesto: “Why can’t people understand, I got a short attention span, shooooort attention spaaaaaaaan!”. Da quello che si può intuire in questi otto secondi di nitroglicerina, un punk californiano scanzonato, compatto e ben suonato, con una voce dal suono molto a presa per il culo. La batteria ha un timbro piuttosto aperto, con il rullante sferragliante e i piatti in secondo piano, mentre la distorsione della chitarra fa pensare a un modello vintage, tipo una Vox o una Fender Mustang, attaccata a un Marshall semivalvolare (per via di quella scarsa profondità del timbro). Tra l’altro sono notevoli i controcanti, poco evidenziati ma efficaci, che arricchiscono il ritornello (nonché unica frase della canzone). Otto secondi ed è finita, otto secondi e si è già catapultati in
“Anchor”, dei Less Than Jake, combo della Florida più vicino alle sonorità degli Strong Out, anche se meno patinati. Qua la durata è intorno ai 29 secondi, e il testo un po’ più complesso. Il muro sonoro delle chitarre è più gentile, probabilmente impiegano delle Stratocaster, e qua e là affiorano inserti della sezione fiati.
Va bene, scherzavo, la pianto qui.
Tuttavia, se si valutasse il valore di un disco in base al rapporto prezzo/numero di ascolti possibili, questo “Short Music For Short People” sarebbe alto in classifica: te lo porti a casa con nove euro, e prima che ti venga a noia ce ne vuole… quantomeno perché serve parecchio tempo per ricordarsi tutte le canzoni (ovviamente a meno che non vi faccia schifo l’emocore e annessi). E il livello dei brani è in generale alto: sembra che ci siano parecchie band nel genere che danno il meglio di sé sui cento metri piani piuttosto che sui tremila; a dirla tutta c’è un sacco di gente in questo disco che, con tutto il resto delle loro produzioni, non hanno aggiunto una virgola a quanto detto nei 30 secondi sindacali concessi qua. Ed è intrigante come 101 gruppi diano una differente interpretazione dell’idea di “canzone bonsai”, 101 modi diversi di riempire 30 secondi di silenzio. Un po’ come “Questo l’ho fatto io!” il concorso della Settimana Enigmistica dove si doveva inventare una vignetta a partire da un paio di linee.
In generale i più indecenti della raccolta sono stati i supposti “mostri sacri”: i NOFX hanno ripescato 30 secondi di provino scartato da “Pump up the Valuum” e li hanno schiaffati qua; idem per i Misfits, ormai felicemente adagiati nei tunnel dell’Alzheimer, e per i Bad Religion, che la bobina l’hanno ripescata da “No Control”. I Queers invece fanno pensare inequivocabilmente che i loro ultimi lavori vengano messi in commercio direttamente dalla clinica di igiene mentale dove tutti risiedono, mentre Matt Freeman dei Rancid sembra ormai intenzionato a farci sapere che lui-sì-sa-suonare-il-basso (come no!) anche quando va a comprare le pesche al mercato. Brutti e deludenti.
I momenti più felici sono regalati invece da Terrorgruppe e Gwar (i cui testi sono “deliziosi”), i Damned con 30 secondi di un’atmosfera che nessuno si sarebbe aspettato da loro, gli storici No Means No che macinano come una schiacciasassi, i Dickies che si riconfermano per quello che sono, nient’altro che una micidiale macchina sforna-melodie, i Circle Jerks, che amo a priori e per i quali non posso quindi essere obiettivo, e i Chixdiggit, che sfornano in assoluto i 24 secondi più perfetti dell’intera raccolta, non c’è un nanosecondo che non sia come dovrebbe essere.
Disco ideale per persone molto impazienti o affette da lesioni gravi ai centri della memoria di breve termine; non si deve per forza essere fanatici del genere (e non vi potrei biasimare) per apprezzarlo… se non scopro di avere delle lesioni gravi ai centri della competenza informatica vi metto anche qualche sample!
Elenco e tracce
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