Questo progetto made in USA è probabilmente il più noto e diffuso tributo alla celeberrima opera pinkfloydiana “Dark Side Of The Moon”. In questi tipi di iniziative le strade percorribili sono sostanzialmente due: una reinterpretazione in qualche modo diversa, creativa, magari dissacrante (è il caso della versione reggae resa dagli Easy Star All-Stars nel 2003 con il loro “Dub Side Of The Moon”) oppure una puntuale, rispettosa rassomiglianza con l’originale ed è indubbiamente il caso di questo disco datato 1994, a proposito del quale scelgo di redigere brevi note canzone per canzone, ossia le dieci parti costituenti la storica suite:
“Speak To me” – la brevissima intro è resa dal gruppo californiano dei Cairo e vi è la replica di tutto ciò che Nick Mason aveva montato al tempo: battito del cuore, elicottero, urla, chiacchiere in progressiva assolvenza.
“Breathe” – Sempre i Cairo coinvolti, ovviamente. Il tappeto di lap steel è al suo posto, la voce è un pelo meno dolce di quella di Gilmour, l’esecuzione un poco più gioiosa, meno dolente dell’originale.
“On The Run” – la riedizione della mitica sequenza a simbolo del mondo che va di corsa è data in mano a certo Rob La Vaque e suona un tantino più claustrofobica, senza quell’ambiente vasto e spaziale che i Floyd avevano saputo ricreare nel 1973. In cambio, la resa delle frequenze basse, grazie alla tecnologia anni ’90, è ben più efficace.
“Time” – Il capolavorone in questione è affidato agli Shadow Gallery. L’epocale intro con sveglie e pendoli in serie, ticchettii e Stratocaster a picchiare sulle toniche, è trascritta con certosina applicazione, la voce è convincente ma manca il delizioso cambio di timbro nel ritornello come succede nell’originale, quando Wright prende a cantare al posto di Gilmour. Il tonitruante assolo di chitarra di quest’ultimo è ricopiato nota per nota, com’è anche giusto che sia.
“The Great Gig In The Sky” – Al Grande Ingaggio nel Cielo, sublime definizione e relativa augusta messa in musica della morte, pensano i fantomatici Dark Side Of The Moon. Due coriste si alternano nell’esecuzione degli strafamosi gorgheggi e mugolii, immortalati a suo tempo da Clare Torry, per inciso da diversi anni accreditata ufficialmente e finalmente come coautrice insieme a Rick Wright, dopo avere vinto la relativa causa legale.
“Money” – Il 7/4 più conosciuto e pure ballato di ogni tempo è affidato ai Magellan. L’assolo di sax è improvvisato non rifacendosi all’originale di Dick Parry, quello di chitarra è invece uguale spiccicato, ancorché carente del tocco e della fluidità unici di Gilmour. La faccenda dura più di sette minuti e probabilmente è l’episodio con le maggiori variazioni rispetto alla fonte.
“Us And Them” – La grandiosa ballata antimilitarista di Wright e Waters vede coinvolti gli Enchant, formazione proveniente da San Francisco come del resto Cairo e Magellan. La chitarra è più indietro e i sintetizzatori più avanti rispetto al mix pinkfloydiano del 1973. Fedelmente al loro posto l’assoletto di pianoforte e le cose di sax, queste ultime di nuovo diversificate rispetto al contributo storico, che era sempre di Parry.
“Any Colour You Like” – In azione i World Trade di Billy Sherwood (poi anche negli Yes) che non ha problemi a suonare chitarre, basso e tastiere facendosi aiutare solo dal suo batterista. E meno male che la traccia è strumentale sennò avrebbe anche cantato, che la bella voce non gli manca. Solo il basso invadente in stile Chris Squire, vecchio vizio del nostro, esce un po’ dal seminato ma la cover è efficace… è quella suonata meglio, anzi.
“Brain Damage” – Robert Berry (Ambrosia, Alliance) si accredita tutto da solo la reinterpretazione del Lunatico sull’Erba e via dicendo, anche se l’arrangiamento è doverosamente pieno di voci femminili, però non accreditate nell’occasione.
“Eclipse” – per il gran finale tutti i cantanti coinvolti nel progetto contribuiscono, una frase a testa: nell’ordine Sherwood, Brett Douglas (Cairo), Mike Baker (Shadow Gallery), Trent Gardner (Magellan), Rob La Vaque, Ted Leonard (Enchant) e Robert Berry. Immancabile naturalmente il ghigno finale a chiusura di tutto, ossia la battuta “Non c’è nessun lato oscuro della Luna… è tutta buia!” mentre che il battito di cuore va in dissolvenza.
Si può considerare quest’opera da cinque ovvie stelle per le musiche “non originali” (come si dice), ma al contempo da una misera stella in quanto ad utilità, coinvolgimento emotivo, curiosità che in effetti si esaurisce tutta dopo il primo o secondo ascolto: la media è tre stellette quindi.
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