Ogni volta che Vasco Rossi faccia, dica o scriva qualcosa, è un successo. Non importa cosa faccia, dica o scriva, sarà sicuramente giusto per la nutrita "combriccola" del Blasco. E, ormai, è così da trent'anni. Quella per il sedicente rocker di Zocca (Vasco sta al rock come Renzi a Che Guevara), sempre più postumo in vita, è giunta ormai ad essere un'appartenenza sempre più acritica. "Mi piace, perchè Vasco è Vasco", è la risposta che ti senti ripetere ciclicamente da chi lo osanna e lo difende, costi quel che costi. Sono almeno quindici anni che Vasco Rossi reitera sornionamente se stesso, parlando alla luna o dando la colpa al whisky, mietendo ogni volta consensi sempre più ampi. Come diceva, già negli anni '80, Pier Vittorio Tondelli, il suo successo non dipende tanto dal suo messaggio musicale quanto da "un atteggiamento, una storia vissuta, una mitologia, diventando l'idolo di una diversità". Ma di che diversità stiamo parlando? Di certo non politica, quanto più personale e temperamentale. Vasco è genericamente contro, non si sa bene con chi ce l'abbia, ma lui deve ostentare un malessere che anima il mugugno popolare (Colpa di Alfredo, Siamo solo noi), tra un "ehhhhh" sbiascicato e un dito medio alzato contro il mondo. Gli anni esistenziali, e poi gli anni della prigione e della droga, e poi ancora gli anni radicali, e poi successivamente gli addii annunciati e fattivamente smentiti. Lui è un rifugio rivoluzionario ma tutto sommato moderato, è un colpire nessuno per colpine centomila, è un essere sguaiato e teneramente romantico. Intendiamoci, nel corso della sua longeva e lodevole carriera, il Blasco nazionale ha inanellato perle sempre meritevoli (Sally, Vivere, Ogni volta, Liberi liberi ecc), ma condite sempre da quel riverbero di vezzi che lo hanno portato ad essere la caricatura di se stesso. Da molti anni a questa parte, Vasco fa tenerezza; è "l'amico fragile" che cantava De Andrè. Più che la sua sensibilità artistica, fa effetto la sua percezione. Soltanto Vasco può rendere formule di lampante esilità adolescenziale (voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l'ha), a verbo inattaccabile e inconfutabile. Perchè lo canta lui, perchè lo impersonifica lui, perchè lo recita lui. L'ultimo album degno di nota è "Canzoni per me", risalente al 1998: dopo, il nulla. Vasco è invecchiato male, ed è invecchiata male anche la sua arte. Nella sua imprecisata, ma eversiva, insoddisfazione, c'è la declinazione a un indistinto fastidio per un mondo che "fa venire il movito" e che "non è il mondo che vorrei". Lui ci sarà sempre, e non riuscirà mai a staccare la spina perchè ormai schiavo del suo personaggio e della sua condizione, tra una scazzottata verbale con Ligabue e un'ansa di ricovero in ospedale. Per lui, come cantava in "Sally", ci sarà sempre un posto in cui si potranno mangiare ancora le fragole.

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