Ho già scritto, tempo fa, che per certi autori la pubblicazione di un live è, o forse meglio era, la chiusura di un momento artistico, e l'anticipo dell'apertura di un altro. Potrebbe forse dirsi meglio che la pubblicazione di un concerto è la copertina, o il titolo di coda, di un momento ispirativo.

Pensate a "Concerti" di Conte, "Sciò" di Daniele, il concerto di De Andrè con la PFM. Pensate a "Banana Republic" o a "Tra La Via Emilia E Il West". Certi cerchi si chiudevano col live, e francamente non ho mai capito se e quando la cosa fosse voluta o casuale.

Fatto sta che per molti autori il discorso è comune e, ahimè, per troppi artisti il primo live segna la fine del periodo migliore. Seguito, per alcuni, dal periodo dell'onesto artigianato (pensiamo a Guccini o Conte), e per altri, ad esempio Vasco, dall'inizio di uno scollinamento artistico cui, curiosamente ma non troppo (siamo in Italia, no?), spesso è corrisposto un boom commerciale.

In questo disco gira tutto bene. Premetto che ho sempre amato i dischi corti, quelli (mi perdonino i non matusa che magari non capiranno) che stavano tutti nella cassettina da 46 minuti.

Dunque questo è perfetto. Un live singolo. Una "fucilata". Con dentro quello che era, all'epoca, un linguaggio nuovo. Per quasi tutti i critici un linguaggio peggiore, esecrabile, cattivo. Il che è oggettivamente vero. E penso anche Vasco converrebbe. Non possiamo confrontare la costruzione perfetta di una lirica di De Gregori, De Andrè o Guccini con l'eloquio stradale del buon Rossi da Zocca.

Nessuno dei citati cantautori storici si sognerebbe mai un pezzo di puro razzismo campagnolo come "colpa d'Alfredo", dove il meridionale ("negro") ci frega la nostra donna ("troia") di collina per la macchina che "c'ha" (non ditemi che non l'avevate capito...). Dove si parla di fegati spappolati e di drogati che rientrano in casa la mattina presto con il mal di testa.

Insomma: una non poesia. Ma, d'altra parte, il free jazz era jazz? Un taglio di Fontana è un quadro? I linguaggi nuovi hanno sempre sconcertato e spiazzato, e seminato critiche. E Vasco di critiche ne raccoglieva parecchie, goliardicamente godendosele. Finiva in galera per droga e ne usciva dicendo al giudice che "su tutta questa storia ci tirerò una riga". Sicuramente né buono né buonista. Sicuramente lontano anni luce dal cantautorato classico e dalla classica canzone d'autore italiana.

Ma grazie a dio distante anni luce dal neomelodico e dal rappino facile facile che da lì a qualche anno (complici i Bocelli, i Pezzali, le Pausini, i Jovanotti, ecc...) inquineranno le nostre radio, le nostre orecchie e le nostre vite (almeno dal lato musicale).

Quel Vasco lì è altro. È linguaggio scorretto, canzoni parlate e a tratti bellissime (qui ci sono versioni perfette di "Ogni Volta" e "Vita Spericolata" ) a tratti divertenti. Sempre dissacranti.

L'Italia aveva ancora un senso, sapeva essere ancora nuova, provocatoria. Forse bella. Negli stessi anni De Andrè innovava il proprio linguaggio con "Creuza De Mà", seguito a breve da "Don Giovanni" di Battisti, altro esempio di sperimentazione canora pura.

E dalla Provincia arrivava ancora l'accelerata, non la marcia indietro che avrebbe poi fatto la fortuna di politicanti da bar, televendite e quiz, e canzonacce degne della peggior balera.

Anche Vasco, si dirà, poi sputtanerà se stesso, il proprio linguaggio, il proprio portato di novità. È vero. Indubbiamente.

Basta ricordarselo qui, com'era. Nel periodo d'oro della carriera di un tipo che, piaccia o non piaccia, parlando come mangia, ha voltato pagina.

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