"Vivere o Niente", sedicesmo album in studio di Vasco Rossi, esce il 29 marzo 2011. Registrato tra Bologna e Los Angeles, come ormai di norma avviene dal 1993, consta di 13 brani (12+ghost track).

Si tratta di un prodotto musicale ben confezionato sin dall'artwork della copertina, ove un attempato sig. Rossi è al volante di un'auto, intento a seminare sgraditi inseguitori. Tale è, infatti, secondo lo stesso Rossi, l'atteggiamento di ogni artista "che scappa dall'omologazione e da un certo conservatorismo, da alcuni poteri che non vogliono parli e lo vogliono bloccare". In fuga dalle consuetudini, dalle restrizioni della società e dai posti di blocco dei luoghi comuni.

Quando ci si trova innanzi a un album di Vasco Rossi è bene precisare come dietro tale marchio si celi un team di persone collaudato da anni, capeggiato dallo storico produttore Guido Elmi, autore di gran parte delle musiche di Vasco Rossi assieme a Tullio Ferro (ex-Luti Chroma), musicista sconosciuto ai più ma autore di alcune tra le musiche più belle di tutto il repertorio Vasco Rossi (Splendida giornata, Vita spericolata, Liberi liberi, Gli angeli, solo per citarne qualcuna).

L'album, iperprodotto e ben suonato da ottimi musicisti, presenta la consueta formula musicale: a ballads struggenti e malinconiche si alternano rokkettoni scanzonati e ironici. Estrema dolcezza ed amarezza da un lato, sberleffo e sbruffonaggine dall'altro.

Nella prima categoria rientrano l'opener "Vivere non è facile", ballata soffusa e dal malinconico incedere arricchita da un gradevole quanto breve di assolo di chitarra; "Starò meglio di così", testo sofferente per l'abbandono dell'amata incastrato su una discreta musica di Tullio Ferro; "Dici che" introdotta da un buon giro basso, nella struttura ricorda non poco "Le cose che non dici" di "Nessun pericolo...per te" (1996); "Vivere o Niente", brano di punta dell'album, che inizia con un arpeggio delicato che fa da contrappunto al cantato sofferto e amaro per poi esplodere in un refrain urlato rafforzato dai ricami della chitarra ("Guardami/io sono qui/e te lo voglio urlare/io sto male"). Schietto e diretto, il Rossi colpisce dritto allo stomaco dell'ascoltatore, con cui condivide la voglia di sfogare il proprio malessere esistenziale; "L'aquilone" è musicalmente una sorta di tango emiliano sorretto da un testo riflessivo dove è la frenesia e precarietà del mondo a essere presa di mira; "Stammi vicino", ballad dolce in cui Rossi descrive la necessità di avere accanto la donna da tanto tempo attesa, chiuso da un'ottimo solo squillante e parlante di Stef Burns.

Passando al settore più rock, spicca "Manifesto futurista della nuova umanità" (una cover non dichiarata di "Holiday" dei Green Day) brano dal testo 'importante' nel quale il sig. Rossi, dopo aver premesso che "la cosa più facile sarebbe quella di non essere mai nato", nel refrain dichiara il suo ateismo sottolineando come "sarà difficile non fare degli errori/senza l'aiuto di potenze superiori" per poi abbozzare una cura allo spaesamento dell'uomo senza Dio: abbandonarsi alle proprie emozioni ("Ho fatto un patto sai con le mie emozioni/ le lascio vivere e loro non mi fanno fuori"); "Prendi la strada" è invece un invito a gettarsi nel mare magnum della vita con coraggio, condita con un gradevole micro-assolo di piano; in "Sei pazza di me" brano guascone e machista spicca invece la marchetta di George Lynch, guitar hero degli '80s (ex Dokken); "Non sei quella che eri" è invece un brano in stile "Delusa" con batteria secca e chitarre in primo piano. Chiude l'album la ghost track "Mary Louise", una "Susanna" del nuovo millennio.

"Eh già" e "Maledetta canzone" sono episodi della cui assenza nessuno si sarebbe accorto.

Se i pezzi rock risultano un esercizio manieristico ben studiato e confenzionato, in cui il Rossi gioca a fare lo sbruffone e il giovinastro, e possono isipirare un sorriso, i brani 'seri' sono invece pervasi da un tono tragico e amaro dal vagore sapore esistenzialistico, che esprimono bene il Rossi-pensiero: la vita non ha alcun senso, noi siamo nati per caso e possiamo solo scegliere se affrontare la sfida della vita o scegliere di non vivere. Lontano anni luce dall'autentico ribelle, Vasco Rossi finisce per incarnare appieno l'uomo medio che si crogiola nel suo anticonformismo di massa, l'uomo comune che vive senza alcuna certezza, privo di ideali e di principi, che vaga alla deriva in un mondo privo di senso e scopo. D'altronde è proprio questa sua mediocritas a decretarne da anni il successo di massa, oltre a un'innegabile talento nel rivelare se stesso all'uomo comune

Lungi, quindi, dall'essere un'artista che va controcorrente, il sig. Rossi è difatti il prototipo dell'uomo moderno. Con le sue canzoni egli descrive e fotografa in maniera limpida e cristallina come/dove va il gregge: verso una deriva nichilista di massa che ha ormai raggiiunto il suo acme. Più che in fuga dai condizionamenti, o da "alcuni poteri che vogliono non parli", egli risulta essere in fuga da se stesso. Come lo è, d'altronde, l'uomo moderno.

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