Circa un mese fa ho stretto la mano a Vinicio Capossela. E' successo per le strade di un paesino chiamato Barolo, vicino ad un enorme ed inguardabile gonfiabile dell'Estathé. Era l'una e trentacinque circa: ho sempre creduto alle coincidenze, io. Era inoltre la fine di una giornata lunghissima, piena di musica, incontri, conferenze, birra, amici, scoperte, caldazza e salsiccia di Bra. Quella da mangiare cruda. Ed era anche la ventesima volta che lo vedevo da vicino, la prima però in cui ho spiaccicato con lui due parole, assolutamente superflue. Una parte di me avrebbe voluto prolungare quel momento all'infinito, non lavare quella mano per settimane, fare la foto da mettere su feisbuc. E' la parte di me che non capisce un cazzo di come vanno le cose nella vita: sarà capitato anche a voi di incontrarla fra le vostre carabattole. Se così non fosse così siete fortunati, non siete abitati dalla vostra versione imbecille.
A me quell'incontro però ha fatto capire diverse cose sull'artista in questione, dopo migliaia di ascolti (impietosamente certificati dal mio profilo lastfm), innumerevoli concerti (anche all'estero, lo ammetto), letture sparse di articoli, interviste e recensioni più o meno autorevoli, laddove per autorevoli intendo quelle debaseriote, ovviamente. Mi capita spesso di trovarmi nella non facile posizione di dover motivare il mio amore per questo o quel gruppo, artista, cantautore, scrittore, saltimbanco, attore, regista, ecc. Sarà capitato anche a voi nei vostri discorsi fra amici, parenti e conoscenti. Se così non fosse siete fortunati, talvolta è dura sentirsi in dovere di giustificare qualcosa, per quanto scaturisca da un amore o da una passione genuina. E' così è successo : diverse volte ho espresso con entusiasmo e vari gradi di credibilità i miei sentimenti per il menestrello nato ad Hannover, ad oggi meno maledetto e alcolizzato rispetto a tempi non troppi lontani. Si affaccia spesso alla mia mente, sudato, spossato ed entusiasta alla fine di un concerto, lucido ed emozionato, mentre la sua voce profonda scherza col pubblico e con il sottofondo del suo pianoforte. Non lo ha fatto a Barolo, stretto com'era nella misera ora a sua disposizione, durante la quale ha dispensato musica con la sua consueta maestria.
“Ballate” è il nome del tour che iniziava proprio quel giorno, iniziato subito a ridosso di quello dedicato alla sua ultima epica fatica “Marinai, profeti e balene”. E' stata un'esibizione del tutto inadatta all'uditorio di una piazza gremita fino all'inverosimile, distratta dal caldo e dalla suggestiva atmosfera di un paesino delle Langhe al crepuscolo imminente, dai fiumi di vino versati e scolati sin dal mattino e dall'attesa per il concerto di Patti Smith. Vinicio era accompagnato in parte dai suoi soliti compagni di viaggio, in parte da un manipolo di virtuosi strumentisti greci, reclutati per accompagnare il suo nuovo tour ispirato al rebetiko. Ha così alternato pezzi celebri ed attesi ad alcuni canti popolari da lui rivisitati e reinterpretati in un mix di grande impatto, ma certamente troppo sofisticato per un pubblico che per lo più avrebbe gradito muoversi freneticamente sulle note del Ballo di San Vito o del Marajà. Ma tant'è.
Oggi Vinicio è tutto questo, che piaccia o no. Concept album criptici e concerti snob per i detrattori. Capolavori di creatività e gioielli dal vivo per chi come me ne è ogni volta inebriato. E non importa se non si conosce così bene Tom Waits, Leonard Cohen, Joseph Conrad e la mitologia greca per poter correttamente fare l'esegesi dei contenuti musicali e testuali delle sue canzoni. L'opera di Vinicio va oltre tutto questo ed è alla portata di tutti: intellettuali, alcolisti, musicisti, avanzi di balera, patiti del cantautorato italiano ed i frequentatori di Giancarlo fino alle 7 di mattina. Incontrare Vinicio, in qualsivoglia maniera, è comunque e sempre un privilegio.
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