Due ore e mezza di concerto, la gente in delirio che non si rassegnava alla fine, richiedendo bis su bis che Vinicio Capossela ha concesso generosamente. Uno spettacolo per gli occhi a rimborsare la costrizione delle poltroncine del teatro; non si può ballare, e allora ecco, visioni a profusione, a etti, a chili. Un teatro d'ombre avvolgente e immaginifico, tocchi scenografici selezionati canzone per canzone. E i due picchi emozionali: la telefonata a Nutless e una mortuaria e commovente "Ss. dei naufragati".
Capossela cambia cappelli e vestiti quasi a ogni brano, trasformista divertito. Ha fatto una forza dell'eterogenerità dei brani dell'ultimo cd che ha suonato interamente, in un'apnea durata un'ora e mezza. Tra i bis, s'è cimentato nell'inedita messa in musica di due sonetti bellissimi di Michelangelo, spalleggiato dal violoncello chiaroscurale di Mario Brunello. Pochissimi i ripescaggi dai vecchi album, una "Marajà" mascherata, una "Modì" dedicata a Ciampi, Al veglione in chiave carnevalesca, "Con una rosa", "Che coss'è l'amor" trasmutata in "Besame mucho". Quasi tre ore di musica terrosa, sanguigna, sensuale, e quel sottotesto di violenza ancestrale, nascosto e quasi subliminale; un mammutones mascherato e danzante violentato dalla luce rossa di un faretto grugnisce salmodiante i suoi versetti di jihad: "Non trattare, non trattare, la tua fede non trattare. . . guardali Signore latrano come cani escono la sera son tutt'intorno alla mia casa. . . distruggili Signore, Signore delle schiere. . . colpiscili, disperdili finchè nel sangue dell'empio mi laverò i piedi". Brani del Corano? No, non solo. Molto è tratto dal nostro Antico Testamento. . .
Il sangue, la carne, la prevaricazione. La violenza. Vinicio Capossela, oggi, quasi con noncuranza, ci parla anche di questo. In un'epoca neobarbarica decide di guardarsi indietro e dare uno sguardo alla storia, fiume in piena di cadaveri, strada lastricata di ossa e buone intenzioni. Guerre di religione, guerre economiche, guerre etniche. C'è ben poco da ridere, sembrerebbe. Ma ieri sera, al Teatro Verdi di Firenze, abbiamo riso. Perché Capossela ha quell'aria lì, del buffone che tra un lazzo e l'altro, con la peggiore faccia di bronzo immaginabile, ti fa notare che il Re è Nudo, che abbiamo poco da pavoneggiarci della nostra paventata superiorità illuministica. Nel nostro DNA ci sono i truculenti giochi circensi del Colosseo (curiosamente interrotti dall'arrivo dei barbarissimi barbari), c'è la religiosità totemica e popolare del Cristo Risorto di Scicli, c'è la sete di sangue della Bibbia, la martoriazione del corpo del cristianesimo. Una barbaricità nascosta, che in periodi di toto-integralismo sta ricicciando fuori sotto forma di magliette, pensierini a denti stretti, talk-show, talk-show, talk-show, Marcello Pera & Joseph Ratzinger. Stiamo precipitando di nuovo in quei tempi, in quel passato così lontano, suggerisce sorridendo Capossela. E il suo sorriso bonario non mi è mai parso così inquietante.
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