A partire dalla seconda metà degli anni 80 nacque un fenomeno musicale comunemente chiamato "shredding", i cui protagonisti furono principalmente chitarristi molto giovani, tecnici e determinati soprattutto nel voler seguire le orme dell' axeman svedese Yngwie Malmsteen.
Regista di questo movimento, oltre che scopritore di tanti promettenti strumentisti fu proprio Mike Varney, che, non riuscendo a trattenere nella sua "scuderia" un Malmsteen ormai già fortemente lanciato in una brillante carriera con gli Alcatrazz, diede la possibilità a questi giovani di avere contratti discografici sotta la sua supervisione. Premesso che buona parte di questi chitarristi altro non furono che fenomeni tecnici, privi di spiccata personalità e di idee e tralasciando, almeno in questa sede, l'aspetto degenerativo di questo fenomeno musicale che, ancora nei tempi odierni, ha sfornato personaggi come M.Angelo o Rusty Cooley (forse l'espressione più deleterea e degradante), va sottolineato come non sempre sia corretto dare "giudizi sintetici a priori" dal carattere perentoreo, a meno di non chiamarsi Emmanuel Kant!
Infatti, proprio nella seconda metà degli anni 80 e proprio sotto la guida di Mike Varney, emerge come una cometa, fra tutti, un vero talento ed un chitarrista con doti tecnico-compositive davvero impressionanti, che dimostrerà, nel corso dei 20 anni successivi, di saper affrontare brillantemente percorsi musicali assai diversi fra loro, passando dal neoclassico, alla fusion, a certe sonorità tipicamente blues ed intrecciando importanti collaborazioni con personaggi come Alice Cooper, fino al recente ingresso nei gloriosi Ufo, in sostituzione di un certo Michael Shenker. Sto parlando naturalmente di Vinnie Moore e, in questa recensione, mi preme sottolineare i meriti di quello che, a mio avviso, risulta essere il suo vero capolavoro, divenuto ormai un "classico" in ambito neoclassico e, con ogni probabilità, l'unica autentica alternativa al grandioso "Rising Force" di Y. J. Malmsteen: "Time Odyssey".
In comune con il virtuoso svedese ci sono all'apparenza tante analogie: un approccio classico allo strumento, con chiare influenze di Bach, Vivaldi e Paganini, una tecnica devastante, con alternarsi di sweep, diminuite, plettrate alternate eseguiti con precisione e velocità da vero maestro e, per i più maliziosi, un titolo che rievoca alla memoria un lavoro di Yngwie che, per puro caso (chissà) uscì proprio nel medesimo anno, il 1988. Ma, a parte queste notizie(le ultime quasi un gossip), in realtà "Time Odyssey" è assolutamente differente da tutta la produzione dello Svedese: è un album che mette in luce la personalità ed il talento artistico di Vinnie, il suo amore profondo per la musica classica e per la ricerca di composizioni sempre molto complesse, ma mai stucchevoli, ripetitive, dove trovano ampio spazio, accanto ai virtuosismi pregevoli di "Morning Star" o di "Message In A Dream", melodie suadenti e riflessi di una chitarra matura e contemplativa, come nella cover di George Harrison "While My Guitar Gently Weeps", nell'arrangiamento del brano di J.S. Bach "April Sky"( "Air on a g string" e "piano concerto n° 5" secondo movimento) e, soprattutto, nella poderosa "As Time Slips By", che per ispirazione, feeling e capacità creativa, tocca i vertici più nobili ed alti di questo strumento e si pone come massimo assoluto di un lavoro davvero maestoso.
Questo è un album per intenditori e per palati fini, ma chiunque ami la chitarra elettrica e non sia prevenuto, difficilmente potrà non ammirarne le sue qualità e forse vale proprio la pena scomodare per "Time Odyssey" le parole del grande Jimi Hendrix:
"La conoscenza parla, ma la saggezza ascolta"
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