Formatisi nella comune multimediale del "Lypton Village" (uno dei circoli artistico-culturali più importanti di Dublino) i Virgin Prunes rappresentarono una singolare avventura all'interno della scena dark-wave britannica di inizio anni '80. Il loro era uno stile che nasceva dall'esigenza di rappresentare la componente primitiva dell'uomo, lontana dal progresso disumanizzante, tesa invece al recupero del senso panico, del contatto puro ed incontaminato uomo-natura. Le loro canzoni erano cerimoniali apocalittici, alla ricerca della bestialità dell'uomo, quale componente "prima". I testi eprimevano un sentimento pagano, una volontà ossessiva di "ritorno alle origini", smarrite grazie al processo inarrestabile di "civilizzazione". Per i pochi incontaminati non c'è scampo ormai (Virgin Prunes sta per Vergini Derelitte). L'arte, la musica in questo caso, diventa così un modo per reclamare uno spazio, per gridare al mondo il suo errore.
Il disco in questione è il loro primo LP. Datato 1982, rappresenta il vertice insuperato della loro musica. A dare il benvenuto nel loro rituale eretico ci pensa la strumentale "Ulakanakulot", titolo impronunciabile che sembra la parola magica di un antico stregone. Percussioni tribali, fanno da sfondo ad un'arcana nenia, resa possente da un minaccioso basso in primo piano... senza accorgercene sprofondiamo nella successiva "Decline And Fall", dove è la voce stregonesca di Gavin Friday a farla da padrone, una voce che ci invita a "prendere i nostri sogni e volare via", ad allontanarci da questa vita costruitaci addosso. "Sweethome Under White Clouds" col suo ritmo ipnotico ed il cantato teatrale ci spinge ancora più a fondo lungo questi fiumi di suggestione, preludio al capolavoro del disco, il terrificante incubo di "Bau-Dachong", un macabro balletto pregno di riverberi onirici in lontananza, chitarre taglienti che grondano sangue, dissonanze sinistre. Un autentico gioiello di tutta la musica dark.
"Pagan Lovesong" si sviluppa su un ritmo indiavolato, con la recita "Glam" di Friday sempre in primo piano.
La seconda parte dell'album è di fattura leggermente inferiore rispetto alla prima, mantenendosi però sempre su buoni livelli. La conclusiva "Yeo" ci congeda con una melodia incompiuta, indefinibile, lo scroscio di un rigagnolo d'acqua bagna gli accordi di un piano notturno, il tutto soffocato dalla conclusiva voce demoniaca, che sembra provenire dagli abissi... gli abissi di sua maestà la morte. In fondo "...If I Die, I Die".
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