Diciamo che siete un quartetto di Roma che dal 1999 sforna dischi di “old fashioned free-rock with tons of electronics” e che, di recente, il vostro organico a quattro (comprendente chitarre, basso/tromba, batteria, elettronica più una certa propensione alle ospitate strumentali funzionali ad insaporire il gusto timbrico) abbia perso per strada il batterista.

Che fate?

a-) ci liquefaciamo in lacrime e appendiamo gli strumenti al chiodo;

b-) dopo averci riflettuto su, facciamo di necessità virtù, rimescoliamo l’organico, ricominciamo da tre e facciamo uscire il nostro album ritmicamente più viscerale.

Se la vostra risposta é B o suonate nei vonneumann oppure a livello di attitudine avete qualche affinità con loro.

“Norn”, il loro nono album, viene definito dal gruppo stesso come il loro album funk.

Ci potrebbe anche stare, ma per quanto le uscite del gruppo si denotino per un’evoluzione stilistica continua, alcuni elementi comuni sono presenti: una capacità magistrale di centrifugare le influenze per dar vita a una miscela estremamente originale, uno Stile riconoscibile, una qualità media piuttosto costante e sempre elevata e, arriviamo al punto, uno stile etichettabile con difficoltà.

A voler veramente incasellare la loro musica in uno stile direi che “free-rock alla vecchia maniera” rischia di essere riduttivo: tra i solchi di NorN troverete rock oltre il rock, funk oltre il funk, elettronica oltre all'elettronica...più un sacco di altre belle cose che sintetizzano le varie anime vonneumanniane (che son molteplici) in quello che probabilmente è il loro album più fruibile...e quando dico fruibile é un eufemismo: sta roba dà chiaramente dipendenza.
Come da tradizione, le canzoni sono scrigni pieni di dettagli musicali intriganti che si moltiplicano ad ogni ascolto, gioielli di arrangiamento, gemme di composizione, con un’attenzione per il suono al limite del maniacale.

Personalmente trovo difficile indicare un brano preferito e, contrariamente alle mie abitudini, penso che, vista la ricchezza sonica che il gruppo ci regala, un traccia per traccia possa starci.

Apre le danze “bassodromo”: ovvero, cosa sarebbe successo se D.Boon, Mike Watt e George Hurley (per i meno avvezzi alla storia della musica indipendente statunitense degli anni ’80: i mitici Minutemen) più maturi avessero accettato di realizzare una colonna sonora per un vecchio film peplum.

Dopo un inizio ritmicamente carico, i giochi iniziano a diventare sempre più complessi: con un tripudio di batterie elettroniche superbamente programmate, “antiEuclid” ci fa entrare in un universo sonoro dove il calore di archi e l’elettronica sono magistralmente integrati in un brano di romantica psichedelia autunnale (non son troppo sicuro di cosa questo voglia dire, ma scrivere di musica é come danzare l’architettura, diceva qualcuno che di musica ne capiva più di me).

In “impossibile essere possibile” troviamo una rarità nella produzione del gruppo: la presenza della voce, qui rappresentata dal flow hip-hop di Lucio Leoni. M’ha fatto pensare musicalmente alla vecchia collaborazione tra Brutopop (o, a voler uscire dai patri confini, ci sento pure i Fugazi altezza “End Hits”) e Assalti Frontali, per quanto la favella (e il testo) del Lucio hanno più affinità con la produzione di Napo. Veramente eccellente.

DKSG é una sorta di IDM mutante che, tra riverberi da profondità dub, dà vita a suggestioni ipnotiche e affascinanti per un ipotetico gamelan al silicio. Per i fan storici del gruppo, ci ho trovato qualche affinità col quarto paradosso di switch parmenide.

Le due tracce seguenti, “Humanoide” e “SOAOD”, più ritmicamente carica la prima (con un synth bello ficcante), d’umore più dolce la seconda (splendidi i vocalizzi iniziali e gli arpeggi di chitarra acustica) sono accumunate da parti di fiati che mi hanno fatto pensare alla collaborazione tra il compianto tenorsaxofonista etiope Getatchew Mekuria e gli olandesi Ex.

Ribadisco, vista l’esperienza dei vonneumann, quando tiro in ballo suggestioni, non si parla di copiature, quanto piuttosto di reminescenze. Stimoli presi, rielaborati e risputati fuori in maniera estremamente personale (questo é quello che si chiama Stile).

Dopo il raccoglimento di “SOAOD”, le ultime due tracce chiudono l’opera con la liberatoria catarsi (glitch) rock di “DwORD” e “anti-Reprise”.

...e la risata a musica finita mi trova in genere con un umore leggermente esaltato e una gran voglia di riascoltare il tutto (ve l’ho già detto che sta roba da dipendenza?).

Accollandosi il rischio di disattendere le aspettative dei fan storici, i vonneumann continuano a stupire con l’ennesima convincente prova (fissando la barra ai livelli più alti della loro ottima produzione): un album che sembra frutto della freschezza di un gruppo esordiente, ma pensato, composto ed eseguito con la perizia dei musicisti navigati...non dite che non v’ho avvisato e non statemi a fare i provinciali, ché se un gruppo di Brooklyn facesse uscire un album del genere urlereste tutti al miracolo.

Date a Cesare quel che é di Cesare e ai vonneumann l’attenzione che si meritano.

Ah, e visto che anche l’occhio merita la sua parte, ci tengo a menzionare lo splendido artwork di Valerio De Luca.

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