"Un giorno un'architetta che lavora al Comune di Roma, compagna di un ottimo jazzista come Nicola Stilo, mi regalò un cd. Conosceva il mio amore per il Jazz, per la musica, per la grandezza e la sofferenza della creazione artistica. Quando cominciai ad ascoltare il cd che mi era stato regalato capii che qualcosa, dentro di me, stava succedendo. Non sapevo, non sapevo cosa. Mi assalì una strana malinconia, un improvviso, spropositato dolore".

Walter Veltroni

Walter è un politico pasticcione, come molti della sua generazione del resto; ma quando c'è di mezzo il Jazz, il suo Jazz, il lato umano del Jazz, è come se cambiasse pelle, e in questo caso la sua ispirazione tocca vette molto alte. Oltretutto sorge spontaneo chidersi di come possano coesistere nella stessa persona il politico Veltroni e il Walter del Jazz. Mistero. Metti più jazz nella tua politica, Walter.

Il Maurizio Costanzo Show era stato estromesso da tempo dal mio personale palinsesto: Carmelo Bene era morto, Giovanni Falcone era morto, la voce di Pino Locchi si era spenta, Franco Bracardi oscurato da Morselli e dalla sua orchestra, boys and girls delle trasmissioni della de Filippi le vere stars. Ho una dignità alla quale devo rispondere. Ma quella sera del 2003, complice un consueto zapping di seconda serata, avvenne un mio estemporaneo avvicinamento al Costanzo Show. Decido di lasciare sulla rete ammiraglia del gruppo del Cavaliere. C'è Walter. Pregai comunque che Walter non stesse lì per parlare (?) di politica, ma che invece estraesse dal suo cilindro qualche discorso legato alla musica, ma anche sul cinema, altra passione comune. Grazie Walter, grazie. Niente, niente politica, ma un libro che aveva appena scritto.

Esistono marchette e marchette: Walter che parla di un libro legato alla musica è un conto, il Vespone nazionale che parla delle allegre signorine abituè dei letti del potere un altro. Esistono marchette e marchette, appunto. Comincia a parlare di questo libro, Walter, dal salottino da nobiltà decaduta del Costanzo Show. Un libro incentrato sulla figura di un pianista Jazz nato a Palermo nel 1956 e morto suicida a Montevarchi nel 1995. In mezzo, un accorato e struggente viaggio che porterà nei solchi profondi della vita di questo ragazzo; una profonda inquitudine che lo porterà appunto al triste epilogo in un giorno di Primavera del Marzo del 1995. Mi interessa, Walter.

Cerco il libro, ma non lo trovo. Lascio perdere. Passano gli anni, ed essendo spesso e volentieri vittima di altalenanti e svariati periodi musicali, il libro di Veltroni cade inevitabilmente nel dimenticatoio. Passa ancora qualche anno e, il regista Riccardo Milani, dal libro di Veltroni preso a soggetto, metterà in scena questa drammatica esistenza del pianista, affidando la parte del protagonista ad uno splendido Kim Rossi Stuart. Quel film mi riporta alla mente il libro di Veltroni, con la promessa di rimettermi nuovamente alla ricerca dello stesso. Il film, "Piano, Solo", lo vidi. Il libro, "Il Disco del Mondo", lo trovai e lo lessi. Unico protagonista lui, il pianista: Luca Flores.

Veltroni perse il padre, Vittorio, uomo Rai, che aveva appena un anno; e questa condizione lo ha portato a dare delle sfumature molto toccanti al suo concetto di famiglia, e da questo concetto primario poi possono scendere piccole e grandi storie condivise da tutti. Ieri ad esempio l'ho ascoltato in un'altra sua marchetta, e sembra come se il denominatore unico delle sue storie sia la centralità della famiglia. La storia della famiglia Flores è affascinante, come illustra lo stesso Veltroni. Origine catalana, approdata in Sicilia al sèguito di Carlo III, annoverava tra i suoi componenti anche un Filippo Flores, presidente del Consiglio di Guerra che giudicò i fratelli Bandiera. Giovanni, il padre di Luca, geologo di professione, scriverà anche un romanzo di famiglia sull'epopea della famiglia Flores, intitolato Il Re non Risponde.

I primi anni di Luca trascorrono serenamente, in un contesto cosmopolita che farà sempre da sfondo alle vicende della famiglia. La professione del padre porta i Flores in giro per il mondo, finchè non si stabiliscono in Monzambico. La madre Iolanda, donna affascinante, colta e moderna, è una figura da matriarcato moderno, che tiene le file materiali e psicologiche della famiglia. Luca, il fratello Paolo e le sorelle Heidi e Barbara crescono placidamente in questo contesto protetto, come del resto si capisce dalle foto concesse a Veltroni dai fratelli Flores e pubblicate nel libro. Quelle stesse foto che, in una sorta di viaggio rivelatore, da vita di ordinaria e quotidiana famigliarità, poi metteranno in risalto sguardi spenti, espressioni malinconiche.

Questa serenità viene a mancare proprio quando viene a mancare la figura cardine della famiglia, cioè Iolanda, morta in un incidente d'auto nel 1964. C'era anche Luca con lei, il giorno in cui il bambino Luca Flores lascerà il posto al Luca Flores che coltiverà uno sfuggente tormento per il resto della sua vita. Molto spesso, davanti ad eventi drammatici come questi, cominciano ad affiorare le tensioni, le incomprensioni, in un gioco da tutti hanno torto e tutti hanno ragione, ed inevitabilmente anche la famiglia Flores comincia a cadere in questa spirale. Ognuno prende la propria strada, sempre in giro per il mondo, e dopo ancora un po' di girovagare Luca approda a Firenze. Comincia a studiare da privatista al conservatorio, anni di fermento generale, fatto non solo di musica classica ma anche di musica Pop come Genesis ed EL&P; finchè non arriva un altro elemento nella sua vita: il Jazz.

Il suo amico Alessandro di Puccio, assieme ad altri, darà una panoramica esaltante della Firenze di quegli anni e fortemente intrisa di Jazz; ambiente in cui il nome di Luca comincerà a girare con forza. La parabola del Luca Flores musicista è fortemente in ascesa, inarrestabile, sempre in bilico con il suo dolore e la sua difficoltà di comunicarlo. Negli anni successivi, una strada fragile come la sua doveva necessariamente incrociarsi con altre strade fragili, come potevano essere quelle di Massimo Urbani e Chet Baker.

Nicola Stilo dal libro: "Chet Baker, quando ha conosciuto Luca, si è innamorato della persona dolce e gentile, ma col tempo si è appassionato del suo modo di suonare, e posso rischiare di dire che negli ultimi anni, dall'86 all'88, ogni volta che era possibile Chet pretendeva che fosse Luca a suonare con lui". La morte di Chet colpì molto Luca, come si vede anche nel film di Milani. Il volo notturno di Luca, in un ultimo e struggente battito di ali, avrà il suo epilogo con la sua ultima domanda da finale annunciato... How far Can You Fly? Una domanda che, con la sua musica, ha segnato anche me come Walter.

"Il linguaggio della musica è uno, ed è quello dell'anima, là dove le parole ci ingannano con i loro mille significati. E' libera di volate in paradiso, di scendere nelle viscere dell'inferno o di starsene a galleggiare nel limbo. Io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse l'ultima".

Luca Flores

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