La carriera degli Anathema sembrava ormai inarrestabile. Con entusiasmo avevano fatto il grande passo firmando con la Mascot, si erano messi al lavoro per il loro dodicesimo album e avevano annunciato un tour speciale per celebrare i 10 anni di “We’re Here Because We’re Here” (l’album che segnò la loro definitiva consacrazione); il tour era anche partito nel marzo 2020 ma l’arrivo della pandemia ha fermato tutto. Come tantissime band anche loro hanno dovuto fare i conti con seri problemi finanziari che li hanno costretti ad annunciare una pausa a tempo indeterminato (di fatto interpretata come un vero e proprio scioglimento) e persino alla vendita di strumenti. In mezzo ci sono stati anche problemi personali, fra Vincent Cavanagh che non si è sentito di portare avanti il progetto e il fratello Daniel che ha attraversato un momento davvero buio della sua esistenza e che, stando a quanto si è letto sui social, avrebbe persino tentato il suicidio (pare però che la vicenda abbia connotati ben più oscuri…).
Daniel ha comunque trovato la forza di andare avanti, di ricominciare, anche aiutato da una massiccia campagna di crowdfunding con cui ha potuto ricomprare la strumentazione e pagarsi un terapista a Londra che lo aiutasse ad uscire dalla crisi personale. A seguirlo nel nuovo progetto ritroviamo il batterista Daniel Cardoso, noto per essere il batterista delle produzioni recenti degli Anathema. Ed ecco così che nasce il progetto che si prefigge di portare avanti il discorso interrotto dagli Anathema, anzi, né è proprio il gruppo scia, e lo capiamo da numerosi ed evidenti elementi. Già a partire dal nome, Weather Systems era infatti il titolo di quel grandioso album del 2012. Non bastasse questo anche il font utilizzato in copertina è lo stesso utilizzato dagli Anathema nell’ultimo periodo, sia quello in stampato maiuscolo utilizzato per il nome del gruppo, sia quello in stampato minuscolo (inclinato in corsivo) utilizzato per il titolo dell’album. Aggiungiamoci poi che la copertina di questo primo lavoro ricalca proprio quella del fortunato album del 2012, una sorta di pianeta caleidoscopico simile a quello del Piccolo Principe dove però gli alberi spogli e la terra incolta vengono sostituiti dai grattacieli di una metropoli e dove il cielo azzurro, nuvoloso e luminoso viene rimpiazzato da un bel blu notturno.
E a rigor di logica che sonorità potrà mai avere questo “Ocean Without a Shore”? Beh, risposta piuttosto semplice, proprio quelle degli Anathema degli anni 2010, senza grosse novità o sorprese, quelle con cui il combo di Liverpool si lasciava alle spalle tutte le sue precedenti incarnazioni (il periodo doom metal iniziale, il gothic metal/rock del ’96-‘99 e l’alternative rock di inizio millennio) per abbracciare uno stile ancora nuovo e stavolta più luminoso. Un rock melodico brillante ma allo stesso tempo permeato da una forte dose di malinconia; chitarre leggere ma lampanti, una vena ampiamente sinfonica segnata da sgargianti arrangiamenti d’archi, crescendo d’intensità e di energia ereditati da un certo post-rock, nonché una certa orecchiabilità di fondo che rende i brani facili da ascoltare senza troppa fatica anche a chi non è avvezzo a troppa sperimentazione, senza tuttavia sfociare nel pop. Il paradigma reggente è comunque sempre lo stesso: emozionare, far venire i brividi sulla pelle, anche qui nei Weather Systems i brani sono costruiti su una perpetua ma mai stancante sequenza di accordi che sembrano davvero studiati apposta per far venire la pelle d’oca; come facciano a creare melodie così struggenti e totalizzanti rimane un mistero, dev’esserci qualche studio approfondito, una sorta di “marketing emozionale”, come potrei definirlo.
È comunque bene ricordare che questa forte dipendenza dalla band madre non è assolutamente un caso e non solo perché la figura centrale è quella di Daniel Cavanagh. Gran parte del materiale era infatti stato scritto per un nuovo album degli Anathema, è in sostanza il mancato dodicesimo album della band; anche se a dire il vero si sarebbe trattato di un passo indietro, dato che con il loro ultimo album “The Optimist” avevano adottato un approccio più oscuro.
Un ulteriore punto di connessione con il progetto originale è rappresentato dalla presenza di tracce che sono il seguito di alcuni brani degli Anathema; abbiamo una “Untouchable Part 3” e una “Are You There? Part 2”, che sono assolutamente dei degni seguiti delle composizioni originarie (la seconda è a mio avviso migliore e più emozionante della composizione storicamente contenuta in “A Natural Disaster”).
Forse è proprio questa eccessiva dipendenza dalla band madre il difetto che vi si potrebbe individuare, se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, ma ovviamente è frutto delle circostanze che si sono verificate. Non mancano comunque episodi più particolari e sperimentali, come gli sgargianti passaggi pianistici di “Still Lake”, il bel trip elettronico notturno della title-track (territori già esplorati dagli Anathema negli ultimi due album) e persino i cori verosimilmente africani della conclusiva “The Space Between Us” (vedete, alla fine sempre agli Anathema ci si ricollega, il titolo rimanda chiaramente ai versi di “Summernight Horizon”). Forse con i prossimi album ci si potrà affrancare meglio dallo stile originario, dato che in quel caso sarà davvero un disco dei Weather Systems, ma quando le melodie sono così azzeccate e così emozionanti, quando l’emozione è ancora così forte e ci è tremendamente familiare da colpirci al primo ascolto… cosa volere di più, come si può essere critici?
Danny rivendica poi dei riff più duri rispetto agli ultimi Anathema ma mi sento di non riconoscere questa caratteristica, non basta il riff sicuramente abbastanza roccioso di “Synaesthesia” per poter affermare che il disco è più duro, è uno solo e poi un riff roccioso lo aveva anche “You’re Not Alone”, siamo pari.
In conclusione possiamo affermare di trovarci di fronte ad un usato garantito, che inevitabilmente piace a chi amava gli Anathema. Ora non so se conviene sperare in un ritorno degli Anathema o in un proseguo dei Weather Systems, perché l’idea che si chiuda un discorso e si apra definitivamente un nuovo capitolo è assai stuzzicante e romantica; in ogni caso sarà grande musica e grande emozione.
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