Da non confondere con l'omonimo e a noi contemporaneo gruppo d'oltremanica,  i White Flame di "American Rudeness" sono americani e ormai persi non solo nelle nebbie del tempo e nella polvere degli scaffali ma anche - almeno nella figura del fondatore e personaggio di spicco della formazione, Mark St.John - anche a questa valle di lacrime; l'operazione di recupero è quindi più postuma che più postuma non si può.
Le note della Munster - l'etichetta che porta in europa questo cd o per chi vuole la sempre bellissima edizione in vinile - parlano di una gemma perduta e recensioni varie si avvicendano a scomodare di tutto e di più per celebrare il ritrovamento: Stooges, MC5, Velvet, Zappa, the Band,  Mott the hoople, Captian Beefheart, persino Stones e Count Bishops (!), arrivando addirittura a citare Kim Fowley, kraut rock e immaginare radici proto punk tanto per fare buon peso, come propone nella sua recensione Chris Sanchez, il ri-scopritore di questo lavoro che ha avuto sufficiente buon senso da portarlo di corsa all'Anthology Recordings, l'etichetta che lo ha ristampato negli USA. Come se quest'album fosse il più riuscito pout-pourri non solo di musica americana ma mondiale mai ascoltato. Ammazza! E questi chi sono?
Ora è sicuramente vero che sonorità di questo tipo echeggiano tra i solchi e che l'album non smentisce le promesse di regalarci  "some quirky and dirty rocknroll" accese dalla Coop-esca dominatrix in copertina,  ma bisogna ricordare che usciva nel 1978 con il punk della prim'ora oltre lo zenith e con il successo di Blondie e Talking Heads cosa fatta in patria, più i Police in arrivo da oltreoceano. Parlare di proto punk a punk già in veleggiante alto mare mi sembra quindi un po' opinabile - anche perché non ci sono nel suono forti richiami a sonorità post-punk made in USA à la Dictators, Dead Boys, etc.  - e mi pare più onesta la definizione di St. John stesso (anche se la scrive 30 anni dopo averlo autoprodotto con gli amici in quel del Connecticut) che parla di un lavoro moderatamente parodico, "tongue in cheek both lyrically and thematically (...) in a bow to the Disco movement of the late seventies and as a counterpoint to the rock songs".  

Ascoltandolo, tutte le citazioni fatte dai recensori reggono: ci sono i riff sporchi e schitarrati di Detroit c'è il suono newyorkese dei Velvet più che di Zappa e direi anche dei Velvet ultima maniera (la title-track, "Ailing dogs", "Lewd dude", "Dangerous"), ci sono pezzi all-american belli ma non originalissimi che anche se non graffianti sono però tutti gradevoli (da "Obedience trials" giù fino alla fine),  e si alternano a pastiche neo-tribal-psichedelici come "Makumba love" o alla ipnotica, bellissima semplicità  di "Blame", ma la varietà - pur togliendo logicamente linearità - alla fine non infastidisce.
Il disco quindi è bello e godibile come il lavoro di ragazzi entusiasti e frustrati (definizione di Chris Sanchez), tardi epigoni di un?era cui appartenevano i loro eroi. Desiderosi di pagare a questi il giusto tributo,  riuscirono a produrre un artefatto fuori moda: quando uscì, "American rudeness" era di fatto in competizione con suoni di predecessori troppo illustri per poter essere anche solo imitati e per questo pronto al naufragio nel mare di un hard rock già troppo pieno di cadaveri eccellenti rimasti senza tutto il successo che avrebbero meritato. A vari livelli - e suonando negli anni giusti- non c'era stato già sufficiente spazio nemmeno per Picts, Janus, Josefus, Black Widow, etc., etc., etc., figuriamoci se sfondavano questi qua.  Come a conferma che lo sforzo dei White Flame nasceva morto, l'unico dei quattro della band (che comprendeva anche Dave Perry, Rich Ricciuti e Dan Cronin) ad avere una mini carriera nel mondo della musica, suonando per un breve periodo con i Kiss  di "Animalize", sarebbe stato Mark St. John, autore anche di due albumi solisti e di poco altro.

Che il disco sia comunque apprezzabilissimo è fuori discussione, molto meglio di flopponi illustri (e che avevano anche più sponsor) come un Doug Yule o un Jobriath, ma era ovvio che non ci potesse essere una grande audience per gruppo così ai tempi. E' recuperabile con gusto solo adesso che il tempo lo ha tolto dal problema d'essersi ispirato ad una musica troppo passata per piacere quando uscirono, e che il loro momento sia finalmente arrivato è l'ennesima prova che quando pensiamo di sapere tutto della musicaccia che ascoltiamo, ecco una sorpresina nuova. Cosa che non guasta mai.

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