1985. Parte ufficialmente in quest'anno l'avventura di un'altra band che ha scolpito il suo nome nella Hall of Fame dell'hard rock melodico degli anni 80. Un gruppo che solo dal successivo full lenght "Pride" presenta effettivamente la formazione raffigurata nella foto del booklet di "Fight to Survive". Il frontman Mike Tramp c'è ed il superbo chitarrista Vito Bratta, paisano, pure. Non ci sono invece ancora Greg D'Angelo (altro paisano, alla batteria) e James Lo Menzo (aridaje paisà, al basso), subentrati solo successivamente e rispettivamente a Nicki Capozzi (...) e Felix Robinson, che invece sono i reali coordinatori delle pulsazioni di questo disco.

Un bel disco tutta ciccia, ottimo esordio per una formazione newyorkese che prende le distanze dall'indiavolato shock rock in pieno boom sulla costa pacifica (mi riferisco all'ancora ambigua figura dei primi Motley Crue, tutti trasgressione e pentacoli). Qui la faccenda, almeno nei contenuti, è un po' più seria. La musica dei nostri prende ad esempio le primissime uscite dei Bon Jovi e degli Europe (di entrambi, i primissimi dischi) e si fonda sulla parola dei Van Halen. Ma va oltre con una personalità ben definita che si manifesterà in maniera netta nei successivi lavori.

"Fight to Survive" si regge benissimo da solo e solo sulle due anime della band. Una è quella istrionica e virtuosa incarnata da una voce magnifica, una delle più adatte al genere, e una chitarra molto class che fa gli straordinari (lead e rythm guitar con una sola chitarra e tutto in una volta!) con i fiocchi. L'altra è rappresentata dai geometri della situazione: un basso e una batteria che dettano i tempi da tenere a quei due che sennò se ne andrebbero chissà dove. Genio e razionalità ancora grezzi ma con molti argomenti musicali da mostrare.

E si capisce subito dal brano di apertura, prima storica hit dei White Lion, "Broken Heart", malinconica introduzione al mondo candido del leone americano. Quando rullano i tamburi e parte Bratta sono brividi. Fin da qui si capisce quanto sia in grado di tenere in pugno le redini della situazione anche da solo. "Cherokee" cambia tono di voce. È un allegro inno alla gioia che contiene il seme da cui sono germogliati pezzi storici del futuro dei WL, come ad esempio "Little Fighter". A seguire la titletrack sontuosamente interpretata da Vito Bratta che, come si faceva una volta, si sbizzarrisce in un poderoso assolo iniziale, sulla coda del quale si innesta un pezzo tosto tosto tosto. "Where Do We Run" e "All The Fallen Men" sono emblemi di melodia che è bella da ascoltare così ma, oggettivamente, meriterebbe una produzione migliore. Di questo si potrebbe infatti discutere.

Ci sono anche "In The City" e "All Burn In Hell", malinconica e lenta la prima, dura come uno schiaffo in faccia la seconda. "All The Fallen Men" e "Kid Of 1000 Faces" sono ancora esempio di ottima melodia - nel primo caso - e genialità - nel secondo caso -, ingredienti di quell'estro tipico dei candidati a diventare nuovi rampolli del panorama hard rock internazionale. I brani di cui ho parlato fin qui sono dunque tutti pregevoli. Ma la sorpresa non manca. Eccola: un brano dal tema molto delicato (i White Lion hanno amato impegnarsi in testi di sfondo sociale): la guerra civile di "El Salvador". Ispaneggianti riff di chitarra acustica ed elettrica (all made by Bratta) si inseguono fino allo sprigionamento più rude di energia rock tritacarne. "El Salvador" è un inno alla libertà con un chorus di un'epicità degna dell'heavy metal. Stunning! si direbbe. In chiusura c'è "Road To Valhalla", solenne ballad aperta da tromboni di mille anni fa in cui c'è il piano prima e il chitarrone poi. Un pezzo che mi fa pensare a quando si diceva, di un'auto lanciata a folle velocità, "chiama la sesta". È una canzone, infatti, che sigilla un ottimo lavoro e ti fa venir voglia di passare al successivo.

Penalizzato da una produzione non impeccabile non tanto per la qualità, comunque nel bene e nel male tipicamente eighties, quanto per la troppa concentrazione su ogni singolo elemento - alla fine il suono complessivo sembra un po' troppo assemblato - , "Fight To Survive" è un disco da tipici Monters of Rock. La carriera che i White Lion hanno avuto invita all'ascolto.

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