Dieci pezzi, ventidue minuti; genere: punk.
Basterebbero questi pochi elementi per farmi fuggire a gambe levate dall'ultimo lavoro degli White Lung, infuocatissimo trio di Vancouver formatosi nel 2006 e giunto con “Deep Fantasy” al terzo appuntamento discografico. Ma come a volte capita, un po' per “spezzare il metabolismo”, un po’ per noia/curiosità, decido di assaggiare qualche pietanza insolita per il mio palato. E “Deep Fantasy” è semplicemente il disco giusto al momento giusto; potrei starvi a fare una testa così nel tentativo di giustificarmi, ma il fatto è che “Deep Fantasy” mi è piaciuto fin da subito.
Partiamo da Kenneth William, che si fa carico di chitarre e basso. Dunque, mi piace guardare a costui, autore di un chitarrismo epilettico che si estrinseca in riff tritaossa, fughe improvvise e diversioni melodiche, come al Van Halen del punk. Certo, parlare di virtuoso delle sei corde in un contesto del genere è eccessivo, ma se generalmente punk fa rima con zero-preparazione-tecnica, in questo caso c’è da constatare che il lavoro del Nostro, che non si concentra solo sulle ritmiche, ma anche su tutta una serie di ricami (giochi di armonici, linee melodiche che sembrano provenire dall’universo dell’heavy metal classico, persino un arpeggio nella conclusiva “In Your Home”!) è a dir poco brillante. Certo, direte voi, è davvero facile non sbagliare quando ci si muove nello spazio ristretto di due minuti, soprattutto se si ricorre ad una accordatura ribassata, suoni saturi ed un wall of sound mutuato, più che dal punk, da quell'hardcore che portò dritto al thrash-metal (chi ha detto Discharge?). Resta il fatto che William davvero offre una prestazione sopra la media, certo ripetendosi, ma anche inerpicandosi, convincendo, lungo sentieri più scivolosi.
Passiamo alla signorina Anne-Marie Vassiliou, di professione batterista. Se il fatto che dietro alle pelli sieda una gentil donzella vi fa venire in mente un tupa-tupa fiacco ed incolore eseguito con approssimazione, beh, vi spagliate di grosso! La Vassiliou corre veloce, testa bassa, colpi secchi sui tom-tom, cassa in evidenza, tira a dritto come un treno picchiando con la determinazione e la precisione di un batterista thrash-metal che come primo lavoro fa lo scaricatore di porto.
Arriviamo dunque a Mish Way: la Way è una strillatrice come tante altre (immaginate una Courtney Love a cui stanno strappando le ovaie a morsi), ma considerata la potenza dell'apparato musicale, possiamo vedere la sua carica, la sua sfrontatezza, la sua versatilità vocale come la classica ciliegina sulla torta: le sue vocals sguaiate, i suoi testi di protesta vertenti sui temi del femminismo, del sesso, della droga, della violenza rimangono il vero elemento punk in seno ad una proposta decisamente composita e di spessore che finisce per trascendere i confini del genere.
La band canadese, al suo terzo lavoro, raggiunge dunque la sua maturità: una maturità data dal perfetto bilanciamento fra violenza e scrittura, urgenza e ricerca, il tutto valorizzato da una produzione dai suoni potenti e nitidi al tempo stesso. Criticabili più per prevenzione o per partito preso (disdegneranno i puristi del punk, snobberanno sogghignando i metallari indignati, guarderanno altrove tutti coloro che avranno più di venticinque anni, liquidando i tre come l’ennesima inconsistente new sensation per adolescenti con capelli ossigenati ed anello al naso), gli White Lung producono un lavoro nel suo piccolo perfetto.
Il fatto è che i pezzi funzionano, secernono adrenalina, sono dinamici, epici, e quando la Way azzecca il vocalizzo giusto diventano davvero coinvolgenti. Il mio preferito? Probabilmente il più melodico, il già citato “In Your Home”, che conclude il tutto all'insegna di una roba che sembra quasi hard-rock tirato per i capelli fino agli spasmi. Ma tutti i brani hanno il loro perché: l'opener “Drown with the Monster”, dai toni cupi e tempestosi degni di un thrash battente e reiterativo (a tratti mi vengono in mente i Sodom più hardcoreggianti), già dice tutto quello che c’è da dire. La seconda traccia “Down It Goes”, che parte come si era conclusa quella precedente, rincara la dose, innestando però una vena melodica che riporta il sound dei nostri ai ranghi di un punk nella sua forma canonica (ma attenzione: la batteria continua a mazziare!). E che dire della violentissima “Face Down” che al suo interno, per qualche istante, ospita un riff sfrigolante che evoca forse quel black metal bastardizzato che sempre più spesso ritroviamo in ambiti non solo estremi? O di “I Believe You”, altro highlight del disco? Qui è la prova maiuscola della Way a fare la differenza, con quel ritornello starnazzato strappa tonsille che vorrei proprio sentire dal vivo. L’album va sorbito tutto d’un fiato, i brani si dispongono in una sequenza criminale che lascia ben poco tempo alle riflessioni, schiacciando l’ascoltatore fra i soliloqui isterici della Way, la cui ugola si muove anarchicamente e senza pietà per se stessa, e una solida base musicale che pulsa ossessiva, ma che proprio sui binari stessi di questa ossessività costruisce, con cognizione di causa, una serie impressionante di progressioni e di variazioni che è il vero valore aggiunto di questa interessante release del 2014.
Poi oh, potete fare anche i punk/metallari da salotto e continuare a sostenere cose ovvie, tipo come erano belli i Dead Kennedys; io tutto sommato, fossi in voi, un orecchio a questo “Pure Fantasy” lo butterei: male che vada avrete perso venti minuti...
Basterebbero questi pochi elementi per farmi fuggire a gambe levate dall'ultimo lavoro degli White Lung, infuocatissimo trio di Vancouver formatosi nel 2006 e giunto con “Deep Fantasy” al terzo appuntamento discografico. Ma come a volte capita, un po' per “spezzare il metabolismo”, un po’ per noia/curiosità, decido di assaggiare qualche pietanza insolita per il mio palato. E “Deep Fantasy” è semplicemente il disco giusto al momento giusto; potrei starvi a fare una testa così nel tentativo di giustificarmi, ma il fatto è che “Deep Fantasy” mi è piaciuto fin da subito.
Partiamo da Kenneth William, che si fa carico di chitarre e basso. Dunque, mi piace guardare a costui, autore di un chitarrismo epilettico che si estrinseca in riff tritaossa, fughe improvvise e diversioni melodiche, come al Van Halen del punk. Certo, parlare di virtuoso delle sei corde in un contesto del genere è eccessivo, ma se generalmente punk fa rima con zero-preparazione-tecnica, in questo caso c’è da constatare che il lavoro del Nostro, che non si concentra solo sulle ritmiche, ma anche su tutta una serie di ricami (giochi di armonici, linee melodiche che sembrano provenire dall’universo dell’heavy metal classico, persino un arpeggio nella conclusiva “In Your Home”!) è a dir poco brillante. Certo, direte voi, è davvero facile non sbagliare quando ci si muove nello spazio ristretto di due minuti, soprattutto se si ricorre ad una accordatura ribassata, suoni saturi ed un wall of sound mutuato, più che dal punk, da quell'hardcore che portò dritto al thrash-metal (chi ha detto Discharge?). Resta il fatto che William davvero offre una prestazione sopra la media, certo ripetendosi, ma anche inerpicandosi, convincendo, lungo sentieri più scivolosi.
Passiamo alla signorina Anne-Marie Vassiliou, di professione batterista. Se il fatto che dietro alle pelli sieda una gentil donzella vi fa venire in mente un tupa-tupa fiacco ed incolore eseguito con approssimazione, beh, vi spagliate di grosso! La Vassiliou corre veloce, testa bassa, colpi secchi sui tom-tom, cassa in evidenza, tira a dritto come un treno picchiando con la determinazione e la precisione di un batterista thrash-metal che come primo lavoro fa lo scaricatore di porto.
Arriviamo dunque a Mish Way: la Way è una strillatrice come tante altre (immaginate una Courtney Love a cui stanno strappando le ovaie a morsi), ma considerata la potenza dell'apparato musicale, possiamo vedere la sua carica, la sua sfrontatezza, la sua versatilità vocale come la classica ciliegina sulla torta: le sue vocals sguaiate, i suoi testi di protesta vertenti sui temi del femminismo, del sesso, della droga, della violenza rimangono il vero elemento punk in seno ad una proposta decisamente composita e di spessore che finisce per trascendere i confini del genere.
La band canadese, al suo terzo lavoro, raggiunge dunque la sua maturità: una maturità data dal perfetto bilanciamento fra violenza e scrittura, urgenza e ricerca, il tutto valorizzato da una produzione dai suoni potenti e nitidi al tempo stesso. Criticabili più per prevenzione o per partito preso (disdegneranno i puristi del punk, snobberanno sogghignando i metallari indignati, guarderanno altrove tutti coloro che avranno più di venticinque anni, liquidando i tre come l’ennesima inconsistente new sensation per adolescenti con capelli ossigenati ed anello al naso), gli White Lung producono un lavoro nel suo piccolo perfetto.
Il fatto è che i pezzi funzionano, secernono adrenalina, sono dinamici, epici, e quando la Way azzecca il vocalizzo giusto diventano davvero coinvolgenti. Il mio preferito? Probabilmente il più melodico, il già citato “In Your Home”, che conclude il tutto all'insegna di una roba che sembra quasi hard-rock tirato per i capelli fino agli spasmi. Ma tutti i brani hanno il loro perché: l'opener “Drown with the Monster”, dai toni cupi e tempestosi degni di un thrash battente e reiterativo (a tratti mi vengono in mente i Sodom più hardcoreggianti), già dice tutto quello che c’è da dire. La seconda traccia “Down It Goes”, che parte come si era conclusa quella precedente, rincara la dose, innestando però una vena melodica che riporta il sound dei nostri ai ranghi di un punk nella sua forma canonica (ma attenzione: la batteria continua a mazziare!). E che dire della violentissima “Face Down” che al suo interno, per qualche istante, ospita un riff sfrigolante che evoca forse quel black metal bastardizzato che sempre più spesso ritroviamo in ambiti non solo estremi? O di “I Believe You”, altro highlight del disco? Qui è la prova maiuscola della Way a fare la differenza, con quel ritornello starnazzato strappa tonsille che vorrei proprio sentire dal vivo. L’album va sorbito tutto d’un fiato, i brani si dispongono in una sequenza criminale che lascia ben poco tempo alle riflessioni, schiacciando l’ascoltatore fra i soliloqui isterici della Way, la cui ugola si muove anarchicamente e senza pietà per se stessa, e una solida base musicale che pulsa ossessiva, ma che proprio sui binari stessi di questa ossessività costruisce, con cognizione di causa, una serie impressionante di progressioni e di variazioni che è il vero valore aggiunto di questa interessante release del 2014.
Poi oh, potete fare anche i punk/metallari da salotto e continuare a sostenere cose ovvie, tipo come erano belli i Dead Kennedys; io tutto sommato, fossi in voi, un orecchio a questo “Pure Fantasy” lo butterei: male che vada avrete perso venti minuti...
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