La seconda opera dei Widespread (anno 1991) li coglie ancora in quintetto, coadiuvati da un unico tastierista ospite, d’altronde ben in evidenza essendo il virtuoso T Lavitz, dai trascorsi Dixie Dregs col biondo “porporato” Steve Morse”.

La copertina insiste ad essere poco accattivante, ma lo saranno quasi tutte in carriera; la musica invece lo è (accattivante) in sommo grado. Sentite un po’:

Send Your Mind” è un rock blues molto sudista, semplice e veloce, che non si decide a terminare e viene riattivato due volte, quando sembra che non ci sia più niente da suonare. “Walkin(For Your Love)” è straniante per quanto il suo tempo se ne vada a spasso, generando spareggi ritmici quasi a casaccio; alla fine si resta ammaliati: 4/4, 6/4, 7/4 a rotolare uno dentro l’altro. “Pigeons” parrebbe tranquilla nel suo saltabeccare un po’ rock e ancor più funk, invece dopo le consuete due strofe e ritornelli se ne va a zonzo strumentalmente, destando genuino interesse; c’è a un certo punto un solo di basso e poco dopo un rallentamento atmosferico, distrutto in un attimo dal ritorno dell’iniziale funk cantato.

Mercy” è una ballata semiacustica ingentilita dall’organo e dal pianoforte; il chitarrista solista non se ne fa una ragione e procede al suo consueto solo divagante e psichedelico: un po’ pallosa, senza una melodia agganciante, ma acchiappa parecchio la coda rarefatta e jammata, affidata a piano, chitarra acustica ed ancora all’incontinente Michael Hauser. “Rock” mette in evidenza le percussioni eleganti di Ortiz e nello strumentale centrale il competentissimo basso di Schools, per poi finire rallentata e lirica. ”Makes Sense to Me” è un up-tempo jazz rock intenso e ritmico.

C.Brown” torna al profumo sudista, Bell la canta da dio e gli accordi sono deliziosi. Il pezzo dondola compatto e ritmico, messo in fila dalle percussioni sullo sfondo, un nettare degli dei. Poi arriva il chitarrone un po’ fumato di Hauser e la faccenda assume quell’aria alla Duane Allman che può piacere o meno, ma sicuramente spezza l’atmosfera caracollante del tutto, finchè la jam si dissolve e torna il timbro roco, personale, emozionante del cantante. Gran ritornello, gran basso, il brano più squisito del disco. “Love Tractor” vive di un delizioso basso continuamente in levare rispetto alla chitarra nella strofa, grande dimostrazione di classe di Stefano Scuole e di tutti i suoi accoliti intorno. In “Weight of the World” arrivano i fiati a sottolineare il funk generale, già bello alto a causa delle congas e dei timbali.

I’m Not Alone” dondola nei suoi sfruttatissimi accordi chitarristici Re-Do-Sol. Ma che classe. Poi si allontana un poco per via di inserti di chitarra acustica e qualche accordo sorprendente, preludio al solito ondivagare alla solista di Houser, una specie di tassa da pagare (spesso con gioia) per chi ascolta i Widespread. “Barstools and Dreamers” arriva in assolvenza, tenuta in piedi da una slide guitar satura e facile agli armonici. Meno male, perché la melodia cantata da Bell va a spasso e pare accessoria; ipnotica è dir poco per questa canzone, lunga distesa in jam fino a sfinirsi e sfinire chi l’ascolta, però a darle credito è un estasi, perché le varie sezioni son tenute insieme dalla sezione ritmica (3/5 del gruppo) che procede liscia come l’olio: una libidine, per buona parte dei suoi nove minuti.

Proving Ground” è un rock blues un poco sghembo, perché la strofa è ortodossa ma poi si apre su di un ritornello inaspettato e delicato. Ci pensa il solito Hauser a dilatarla, a’la Grateful Dead, con le sue circonvoluzioni fra le corde; il boccoloso solista ci offre un saggetto condito di riverbero al contrario, intanto che i compagni dietro gli accellerano sino allo spasimo il tempo; molto ma molto pissichedelico; poi appena la pianta tornano al mezzo tempo rock blues e si può riprendere a cantare un altro po’e pure qui, finiti i fischi e lazzi finali, sono andati via quasi sette minuti. L’ultimo episodio “The Last Straw” sembrerebbe recuperare la forma canzone concisa e melodicamente logica. Ma non è così: vi è uno stop e una seconda parte, tutta diversa, ancor più carina.

Mamma mia, settantatré minuti quasi di disco… quanto hanno da dire questi Widespread Panic, e con che classe! Per loro, di dimesso vi sono solo le magliette e i jeans sdruciti con i quali affrontano il palco, gli stessi vestiti messi su la mattina dopo aver fatto colazione. Io ci ho straveduto, da subito.

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