Liberazione della mente.

Una stanza piccola, pareti interamente in legno. All'esterno è pieno inverno, notte. La luna splende nel buio. Accanto a me una poltrona. Non troppo comoda, non una poltrona per assopirsi. Un caminetto acceso riscalda l'interno, il calore culla i sensi. E la mente si libera, si apre, viaggia, prende il largo, si districa attraverso sentieri candidi e rassicuranti, alcuni già visti, altri ignoti, pervasa da quel briciolo di strana malinconia che invece di rattristare, pare rassicurare.

E la colonna sonora a questo acquarello, a questo schizzo di rara e pura quietudine, ci viene offerta così, dal nulla, da un musicista noto quasi esclusivamente a quella nicchia di appassionati di un genere troppo spesso banalmente classificato sotto l'algida definizione di "new age". Will Ackerman è colui che questo genere l'ha abbozzato, sviluppato, levigato e poi donato a tutti coloro che, dopo di lui, ne hanno cavalcato l'onda servendosene e rendendolo un vero e proprio fenomeno. Edito nel 1986 dalla Windam Hill, la Label per eccellenza dei musicisti di tale movimento, è il suo sesto lavoro in studio. Ma ora, in quella stanza, con la luna che splende, a poco serve sapere tutto ciò. Quel che conta, è che la sua musica ci sta cullando amabilmente, come una madre cullerebbe il suo piccolo nascituro, con lo stesso amore, la stessa parsimonia, le stesse attenzioni. "Conferring With The Moon" è questo: la colonna sonora ideale dei momenti più intimi e quieti della nostra mente.

Play. Silenzio. Lentamente e con una dolcezza sublime, ecco partire un arpeggio di chitarra. La title-track è il primo sunto dell'album, nonché il capolavoro dello stesso e forse della produzione di Ackerman tutta, ed è il vero ritratto di quella stanza: il fuoco nel caminetto, che a poco a poco prende vita sotto forma di quella chitarra; quando il calore pervade corpo ed anima, ecco entrare in scena la mielosa melodia di un lyricon, un suono che conduce la mente attraverso le sue parti più nascoste, e più particolari. Il film della vita comincia a scorrere davanti agli occhi, proiettato sulla faccia di quella luna piena che splende nella notte, gioioso e malinconico al tempo stesso. Ricordi, soddisfazioni, rimpianti, momenti felici, altri meno, soddisfazioni, delusioni: c'è tutto in quella melodia, tutto ciò che la nostra mente contenga. E tutto questo è finalmente libero di esprimersi senza farsi condizionare dalle restrizioni che il ragionamento impone: è pensiero puro, privo di concetti, ma saturo di personalità. A metà brano la melodia raggiunge il suo apice, marcata, scandita, benché ancora cullante: il fuoco arde, il flusso dei pensieri raggiunge la massima espressione, per poi, lentamente, invertire la rotta e rientrare da dov'era provenuto, assieme alla chitarra, che sfuma di nuovo nel silenzio. Il fuoco è ora di nuovo basso, arde con lentezza e continua a cullare. Un arpeggio di chitarra improvvisato ci conduce per poco in un mondo fantastico, un mondo di ambizioni, desideri, speranze, poi di botto, s'arresta. Nel terzo brano sono invece gli strumenti a fiato a smuovere le onde; il titolo stesso, Mountain Lake, suggerisce lo scenario dove il flauto di pan e la zampogna guidano i nostri occhi interiori: uno scenario di pace dei sensi, un lago di montagna dove tutto tace, solo il fruscio dell'acqua contro le rocce a comporre l'universo sonoro.

E' ora il momento dell'azzurro. L'azzurro del cielo, del niente e del tutto, l'azzurro dove qualsiasi cosa positiva può riflettersi. E così gli arpeggi di chitarra in Big Thing In The Sky suonano come nuvolette bianche, a lasciare poi spazio alla "grande cosa": il sole, rappresentato dal corno inglese che fa il suo ingresso a metà brano. Un sole fioco, pallido, invernale: ma non perciò meno evocativo nel suo rappresentare la "grande forza" nel cielo. Il tramonto finale lascia spazio poi ad un angolo di 7 minuti dove agli occhi risorgno i ricordi: questa volta, quelli delle azioni più radicali, più cruciali, magari non sempre le più giuste. Climbing In Geometry è il più analitico dei brani dell'album, una retrospettiva del nostro essere, uno sguardo agli avvenimenti del passato con l'occhio critico del presente, e, al tempo stesso, immaginando come sarà il futuro. I successivi 7 minuti di Last Day At The Beach si soffermano invece sui rimpianti: il più malinconico e sommesso tra i brani, a ripresentarsi ai nostri occhi sono ora le scelte sbagliate, ciò che si sarebbe voluto fare e non si è fatto, ma anche la rassicurante consapevolezza che l'aver commesso degli errori ci ha solo fortificato. La luna pare oscurarsi leggermente, per poi risplendere ancora più forte. Una breve ventata di freddo colpisce il corpo, per poi essere sostituita dal rumore della legna che arde sempre più, e dall'abbraccio, ancor più forte, dell'ondata calda e dell'odore di legno bruciato.

L'elemento onirico rifà capolino in Singing Crocodile: un brano breve per sola chitarra, un attimo di pausa al flusso mentale, riposo puro, pace dei sensi. L'arpeggio rieccheggia poi nella successiva Processional: il punto di arrivo dell'elemento meditativo, struttura simile all'overture, stavolta il lyricon conduce alla vetta e alla fusione dei due elementi conviventi nell'album: ci si trova sulla vetta di una montagna davanti ad uno specchio, a guardare sé stessi ed i propri ricordi, la nostra mente nel profondo. Essa raggiunge la massima espansione libertaria, la pace pervade il tutto, per quei 4 minuti non vi sono pensieri che ci attraversino, bensì vi è qualcosa di ancor più intenso: la visione materiale del proprio ego, che prende forma accompagnato dalla melodia. Il tutto poi, s'interrompe di colpo, anche se non bruscamente: ci si ritrova sulla poltrona, avviati verso la conclusione dell'album. Una quarantina di minuti è trascorsa dall'inizio del cammino.

Shape of the Land offre un'ultima visione: ricordi della terra natale, degli ambienti in cui siamo cresciuti e vissuti, immagini rapide che scorrono e si mischiano ad altre, guidate dall'elemento pseudo-fantastico, di quelle terre dove invece si è sempre sognato di vivere, quegli ambienti dove ci si vorrebbe, di colpo, ritrovare. L'ultima immagine ci riporta nella stanza, per poi focalizzarsi, di nuovo, sulla luna.  Garage Planet è l'ideale conclusione: niente ricordi, niente pensieri. Solo la malinconia che lentamente lascia spazio alla serenità. Il finale è affidato ad una reprise per sola chitarra del tema della title-track: il fuoco, come aveva cominciato ad ardere, lentamente inzia ad affievolirsi, la luna è scesa durante quest'oretta scarsa, ed è ormai nascosta dalle fronde degli alberi. La temperatura scende: l'abbraccio del calore si allenta, la mente riprende a ragionare sui soliti binari, pensando a come la legna nel caminetto si sia ormai consumata, e sia tempo di cambiarla.

La musica finisce, sfumando. Di tutto ciò che c'è stato prima, quasi ce ne si dimentica: è trascorsa così un'ora. Non ce ne si accorgerà né ricorderà nella quotidianità, ma quell'ora è stata fondamentale per ricaricare e rendere pronti a ri-affrontare quel che ci aspetta di lì a poco: la quotidianità, com'è nella sua concezione usuale, una successione di eventi e azioni, immagini e pensieri, gli/le stesse/i che abbiamo rivisto, miste a corrispettivi fantastici, nel nostro momento di intimità mentale; nel rewind della nostra vita.

Consigliato non ai fanatici del genere, non ai fanatici di alcun genere, ma solo a coloro che, periodicamente, trovano necessario ricaricare la propria mente di serenità, ed altrettanto a coloro che, benché non lo facciano di norma, sognano ancora di poter trovare un momento, prima o poi, per sperimentare tale emozione.

VOTO IN DECIMI: 9/10

POSTILLA: Breve descrizione musicale

Non essendomi soffermato granché sull'aspetto prettamente musicale dell'album, ma avendo preferito evidenziare le sensazioni evocate dall'ascolto, specifico qui che si tratta di un album di musica che molti definirebbero, banalizzandola, "New age". La chitarra di Ackerman è fondale fisso per gli ingressi in scena di vari musicisti ospiti, che non elenco per via del loro alto numero; la melodia è sempre dettata da strumenti a fiato, che si amalgano meravigliosamente all'atmosferico fondale chitarristico. Le influenze classiche sono numerose: in particolare, da alcuni lavori per chitarra classica dei maggiori compositori di metà '800, con particolare riferimento a Paganini e Mertz. La tecnica di Ackerman, per sua stessa ammissione, è fortemente influenzata dall'opera di Andés Segovia, benché si differenzi dal filone di chitarristi classici seguiti al Maestro spagnolo per la particolare delicatezza di tocco e di sonorità che la rende non particolarmente adatta ad esecuzioni interamente soliste (ve ne sono infatti solo due, più la reprise di Conferring With The Moon), ma più prettamente volta a dipingere una tela sonora armonica sulla quale lasciare l'esecuzione ad altri strumenti. In alcuni brani (Conferring With The Moon, Climbing In Geometry, The Last Day At The Beach, Shape of The Land, Garage Planet) a completare il tessuto sonoro vi sono alcuni interventi di violoncello e violino. In The Last Day At The Beach, infine, vi è anche il contributo (benché non particolarmente rilevante) di un pianoforte.

Le composizioni dell'intero album sono state concepite e composte con un metodo prettamente classico, tanto da essere classificate tramite le categorie di "solo", "duo" e "trio". Quest'elemento contribuisce alla differenziazione tra la musica Ackermaniana, di derivanza prettamente classica, e molti dei prodotti dei successivi musicisti classificati come New Age.

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