Musica nuda.
Come Gregorio, l'eletto, l'incestuoso figlio di incesto, il guerriero, il peccatore abbandonato suo malgrado, il penitente ed il risorto, nudo e rannicchiato sotto il peso della colpa e della grandine e sopra il peso contrario della terra: così le quattro pietre di questa Peel Session di Will Olham.
Niente più che voce e intrecci sotterranei di due chitarre, sorrette a tratti da un piano evanescente come un padre fuggito. Musica senza alcun tempo che non sia quello della disperazione e della coscienza della fine ineluttabile.
L'Ortigara è stato la mia Alaska: al posto dell'oro ho raccolto il freddo che cura l'anima, la fatica dei canali pietrosi in cui eravamo in quattro e mi sembrava di avere tutta l'umanità al mio fianco. Cima XII, una montagna da nulla su questa terra, incombeva protettiva sul bivacco ai suoi piedi e su di noi, persone da nulla, chiusi dentro come bestie felici in una tana sotterranea.
L'Ortigara è il luogo delle mie fughe, il vino bevuto fino al punto dal quale tornare è difficile. Niente acqua, nessun combustibile che non fossero i pessimi rami dei mughi e la legna portata da casa, molte rocce, nuvole, camosci. Ma neppure, lassù, gente indifferente, pronta a fotterti al primo accenno di debolezza; nessun amore improbabile e bruciato, nessuna pena, nessun bisogno di diventare un animale per poter interagire con il gelo della città. Vivere con la serenità della pietra mi sembrava possibile. Vino. Niente più che uva fermentata. E quando l'effetto finisce, quando il ritorno diventa una necessità impossibile da eludere, si cade. E, come sempre, compare Bonnie "Prince" Billy nelle vesti sempre diverse di consolatore almeno in parte rasserenato (Lie Down in the Light) oppure di spettro emaciato che confida la perdita del suo filone d'oro.
Quattro canzoni come quattro vertebre.
Quattro canzoni che scricchiolano come vecchie assi calpestate da un ubriaco appena uscito dalla funzione (I was drunk at the pulpit, dal disco del 2001 There Is No One What Will Take Care of You ) o che balbettano attonite come una gola impaurita da rivelazioni tanto banali quanto immani e insopportabili ( l'enorme Death to everyone, tratta dalla Bibbia di Oldham, I see a Darkness, cantata con voce rotta e punteggiata da un coro tenue e spettrale come un buco di sigaretta nella tovaglia).
"Death to me
And death to you
Tell me what else can we
Do die do"
Quattro canzoni nude vagano in un territorio notturno, dove le sei corde dell'acustica sono sei foglie che crollano lievi a terra e dove le corde di una voce toccano l'anima. Ma questa, come un nervo scoperto, sopporta a stento un tocco di questa entità: e dalla paralisi passa al risveglio che, per quanto aspro, è pur sempre da preferire alla morte. O anche solo alla disperazione.
"Arise, therefore".
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