La storia dell'uomo è fatta di alti e bassi e il famoso principio per cui una volta toccato il fondo non puoi far altro che risalire è disamente corretto se lo applichiamo alla prima metà del novecento.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale nel mondo occidentale soffia un vento di forti cambiamenti e soprattutto c'è una grande voglia di tornare a vivere, di amare, di godersi ogni momento della propria vita in modo più leggero. Il cinema contribuisce a tutto questo e lo fa inaugurando la sua stagione più prolifica, il periodo delle commedie, dei grandi registi, sceneggiatori e attori che segneranno quest'arte per sempre. Quando lo sceneggiatore Donald Trumbo, sotto falso nome in quanto simpatizzante comunista, propone alla Paramount Pictures la sceneggiatura di "Roman Holiday" sono in molti a credere fin da subito nella potenzialità della storia, il problema è trovare il cast di produzione giusto per realizzarlo.
Inizialmente la direzione viene affidata a Frank Capra, il quale però appena scoperto che la trama è opera del comunista Trumbo si ritira e lascia le redini del film a William Wyler, regista ampiamente rodato e vincitore già di premi Oscar che però non ha mai realizzato una commedia. Scelta non fu più giusta, Wyler infatti decide che il film deve essere girato completamente in esterni a Roma, cosa rivoluzionaria all'epoca, e per il cast di attori opta per Elizabeth Taylor e Cary Grant, tutti e due però rifiutano i rispettivi ruoli, la principessa Anna e il giornalista Joe Bradley. La produzione allora ripiega su Gregory Peck e una giovane e sconosciuta attrice europea, Audrey Kathleen Roston Hepburn, la "Gigi" del musical di Colette nella versione teatrale. Questa breve cronistoria può sembrare un po' noiosa ma è utile a capire il motivo del successo di un film nato probabilmente per essere realizzato in qualche studio di Hollywood senza grandi pretese ed invece è diventato in breve tempo uno dei massimi capolavori del cinema, un gioiello che ancora oggi a distanza di più di cinquant'anni appassiona il pubblico di ogni età.
La storia è molto semplice: una giovane principessa sfugge ai sui doveri regali per passare due giorni come una comune ragazza della sua età per le strade di Roma. Il motivo del suo successo è da cercare però nell'insieme di molti fattori, sicuramente il tipo trama coinvolge molto il pubblico meno esigente ma la capacità di Wyler di trasformare propio questa semplicità in un film che diverte e commuove è il segreto del suo impatto sul pubblico. "Roman Holiday" è infatti un sapiente mix di romanticismo e ironia che segnerà questo tipo di commedie nel futuro, la famosa scena della "Bocca della Verità" in cui Joe Bradley (Peck) spaventa (cosa realmente successa, infatti la scena non è mai stata ripetuta) una povera principessa Anna (Hepburn) mostrandole la sua mano finto amputata è entrata nel cuore di tutti noi ed è solo una delle tante intuizioni di una sceneggiatura resa in pellicola in modo sublime.
Dal punto di vista tecnico la scelta del bianco e nero si rivela vincente, guardate le scene del bacio sulla riva del Tevere e vi innamorerete subito del gioco di luci e del volto bagnato della Hepburn che aspetta di ricevere il bacio da Peck; il girare in esterni non era all'epoca una cosa semplice e soprattutto per le strade percorse da poche auto e tanti carretti, biciclette e motorini, le sequenze in Vespa in giro per Roma di Joe e Anna violando tutto il codice della strada allora acquistano un grande valore e nell'immaginario colletivo sono stampate come simbolo degli anni cinquanta e di un periodo in cui la vita stava riprendendo lentamente il suo posto.
Dunque un film fondamentale, di grande significato per la storia del costume del novecento, basti pensare che Audrey Hepburn inizia subito a far tendenza, non indossa ancora gli abiti di Givenchy questo accadrà solo da "Sabrina" in poi, ma i capelli tagliati corti e il look mascolino si diffondono rapidamente tra le ragazze del vecchio continente. Ci sarebbe da riflettere sul finale ma è meglio non svelarlo, una considerazione invece deve essere fatta sulla Hepburn che al suo primo ruolo da protagonista vince l'Oscar e si avvia a segnare magicamente tutto il resto del secolo, prima con i suoi personaggi in film stupendi ("Sabrina", "Funny Face", "Breakfast At Tiffany's", "My Fair Lady", "Two For The Road", "Wait Until The Dark" per ricordarne alcuni) e poi mettendo a disposizione il suo sorriso e la sua vita per l'Unicef, una donna che diverrà eterno simbolo di forza morale, un'anima elegante figlia della distruzione e del dolore del secondo conflitto mondiale, per noi europei una figura importantissima.
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