Trattasi di un trio olandese(!) dedito ad un rock melodico (moderatamente) progressivo. In azione abbiamo un batterista che suona “riccamente” alla maniera progressiva e canta pure, un chitarrista compositore che ci dà dentro melodico e convinto, infine un bassista che sta dietro anche a quel po’ di suoni di piano e di tastiera necessari. Prima di uscire dal giro buono sono riusciti a pubblicare due album: questo è l’esordio datato 1992 mentre il lavoro (ahi loro) di congedo è del 1995 e s’intitola “Face the Truth”.

Sono bravi bravi, perché? Perché hanno il talento di saper comporre. Brani variegati, equilibrati, talvolta assai aggancianti con le loro trovate melodiche, armoniche e di arrangiamento. La voce non è per certo eccezionale, anzi è un tantino dimessa ma alla lunga risulta molto caratteristica e a quel punto è bello sapere che c’è.

Dell’opener “Trees of Stone” mi piace da morire il ritornello, molto struggente e del tutto diverso per tonalità, melodia e suoni dalle strofe. Fra l’altro, infestato di mellotron, alla vecchia! La sua parte strumentale invece è un trio serrato basso chitarra batteria alla Rush, senza certo la potenza e lo sfavillio virtuoso dei maestri.

Living on a Dream” rotola nel suo ritmo zoppicante di batteria, nuovamente al sapore vago di Rush a ragione di quel basso che suona preciso dentro la cassa e di quei passaggi di charleston tanto “canadesi”. “Too Many People” invece esordisce con una figura di chitarra e ritmica molto in stile IQ; si susseguono continui cambi di tempo e di atmosfera sì da renderla una vera mini suite (quasi sette minuti, infatti), ma non è che vi succedono cose eclatanti, regna la piacevolezza senza che mai si sfiori il geniale.

On Your Own” si eleva per un arpeggio già sentito da qualche parte ma molto ben scolpito, che regge la canzone a ritmo lento e lirico, con un paio di eccelse trovate armoniche. La chitarra bagnata di chorus fa il suo dovere, anche nel solo definibile come rispettosamente Frippiano, il quale fa precipitare il brano in quello successivo “Crazy World”, allegramente ravvivato da tempi dispari qua e là; la parte cantata è però piatta e immemorabile… peccato il riff a’la Steve Hackett era figo.

The Unborn Child” propone una fanfara iniziale di chitarre sovra incise, ma poi il ritmo parte risoluto ancora in stile IQ; belli gli accordi iniziali, poi la canzone di perde in facezie new-progressive. Appare invece bella lirica la successiva “Narrow Minded”, impreziosita dal lavoro iniziale della chitarra classica e del flauto, a preludio di un cantato malinconico e folkeggiante, piuttosto suggestivo: forse la migliore del lotto; l’assolo finale è di una Hackettezza conturbante, invero bello, per chi ha gli enzimi Genesisiani nel sangue.

Ancora ambienti acustici per “Make It Alone”, mantenuti però per tutto il tempo. La voce di Van Vattelapesc… insomma del batterista, riesce qui a suggestionare serenamente e caldamente. Pronta a tornare più sonora e decisa su “Running on the Edge”: le melodie dei Wings of Steel hanno questa qualità sospesa, atmosferica, ancestrale, struggentemente appagante. Bello come il riff di chitarra spezzi l’atmosfera che poi si ricompone appena la voce riacquista il centro del panorama musicale.

La chiusa “Surrounded”, altra mini suite, è anche il brano più lungo del lavoro pur se di poco. Consta di un susseguirsi di ritmiche dispari progressive e di più lineari parti cantate, un po’ già sentite in precedenza ma comunque gradevolissime. Bell’assolo Hackettiano, nuovamente: gran suono.

Piacevolissimo disco di progressive stringato, brani quasi tutti sui sei minuti, né semplici né sbrodolati. Ed il disco successivo, e finale, di questa non troppo fortunata formazione è anche più essenziale. Mi piacciono assai entrambi.

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