Venerdí 31 luglio 2015, i Wire (o "gli" Wire, a voi la scelta) sono a Brescia. Arriviamo all'Arenasonica del Parco Castelli con largo anticipo e ne approfittiamo per sedare la fame che ci impone immancabilmente di dare anzitutto la consueta religiosa importanza all'imperativa faccenda "trangugiar birre e riempir lo stomaco". Siamo dunque alla cassa per lo scontrino quando a pochi metri ci passa vicino un tizio con occhialetti trendy e un'aria che fa tanto Colin Newman. Beh, è Colin Newman, il frontman del gruppo. Allunghiamo l'occhio e scoviamo la band seduta attorno a un tavolozzo stile "festadellunità" intenta a sbafarsi panini con la salamina e scolarsi litri di.....ACQUA (?!?!?). Cose dell'altro mondo! Comunque, meraviglioso!

Alle esibizioni delle due band locali Dead Candies e Waka Waka, questi ultimi gruppo storico della scena noise rock bresciana, i primi reduci invece dall'attenzione suscitata dal loro ultimo album new-wave-pop "Square", il compito di scaldare degnamente l'atmosfera, finchè alle 22.30 siamo al centro dell'arena in trepidante attesa del mito. Eccoli, si parte: postpunk per la madonna! L'inizio dello show appare un po' troppo compassato. I primi tre, quattro pezzi sembrano quasi sottotono, come se l'energia della band non riuscisse realmente a esplodere e a esprimersi oltre il dovuto. Oltretutto, risulta subito evidente come la voce di Newman cominci ad accusare un pochino i suoi anni (ma bevi un po' di birra, cazzo!!). Improvvisamente però lo show cambia registro e, a fronte di quanto accadrà in seguito, i primi 15/20 minuti di live si riveleranno solo una specie di calcolato, tranquillo rodaggio. Bruscamente le chitarre diventano potenti e taglienti, la sezione ritmica si fa impetuosa e trascinante, i nostri si divertono alternando versioni travolgenti di pezzi storici a esecuzioni convincenti delle canzoni piú commerciali e mestieranti dell'ultimo album omonimo. S'insinua poi a piccole dosi anche la "scuola-post-punk-Wire": viene dato sempre più spazio alla sperimentazione, i brani si trasformano immancabilmente in epiche cavalcate quasi kraut-rock, si alzano inaspettatamente muri elettrici devastanti, urticanti, infiniti. Il culmine viene raggiunto con dieci minuti filati di delirio distorsivo che, come l'unghia d'un felino inferocito, ferisce orecchie e timpani senza alcuna pietà (siamo sugli stessi deliri sonori dei live dei Mogwai, per intenderci). Una bandiera rosa ("Pink Flag", come il titolo dell'album d'esordio della band uscito nell'ormai lontano 1977) sventola fiera in mezzo al pubblico. La platea è completamente infuocata e conquistata, mentre sugli spalti i presenti sembrano come ipnotizzati dall'irruenza del suono. Una breve pausa ed ecco infine i Wire tornare piú rilassati per i saluti finali, con due pezzi più tranquilli, ma di grande atmosfera.

Un coinvolgente crescendo sonoro costruito con esperienza e gran mestiere, senza dubbio un grandissimo show, un'ora e mezza con la Storia, con un gruppo di sessantenni invecchiati benissimo, dignitosi e sinceri nella loro attuale proposta. La "blue moon" intanto attraversa il firmamento, ragalando visioni mistiche del cielo, ma l'astro che più brilla sull'arena rimane quello dei Wire. Una stella polare che probabilmente ancora per molto splenderà nel firmamento della musica, un punto di riferimento per tantissime band (presenti e future).

In postpunk we trust!

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