Ohi, finalmente una copertina vistosa ed efficace per i Wishbone Ash! La prima dopo ben sei consecutive di modesta resa, anche se in realtà non è nulla di epocale, e per certo non si raggiunge l’efficacia del conturbante guerriero all’alba prima della battaglia effigiato su “Argus”.

L’idea è carina: una specie di proto stampa 3D di Gibson Flying V che passa sotto il naso dei quattro musicisti. E’ la chitarra prediletta di Andy Powell, l’occhialuto e incravattato pelatino sulla destra. Sul retro del disco d’altronde, con simile inquadratura, passa loro davanti una Fender Stratocaster a sua volta attrezzo preferito dell’altro chitarrista Laurie Wisefield, il piccoletto dai lineamenti effemminati in primo piano. Questa volta il contributo del glorioso studio grafico Hypgnosis (Pink Floyd, Genesis, Bad Company…) è significativo e all’altezza della fama.

All’altezza del nome dei Wishbone Ash è, parallelamente, il brano d’apertura “Living Proof”, il quale si imporrà da subito come un loro classico, sempre presente nelle scalette dei loro concerti. Wisefield vi indovina un eccellente riff di chitarra e un bel cantato, teso e orecchiabile (affidato al bassista Martin Turner), le due chitarre nella generosa porzione strumentale prendono a fare i loro irresistibili giochetti in alternanza o all’unisono, la canzone è carica di melodia ma anche potente e avvolgente… tutto funziona.

Il resto del disco non tocca questo assoluto vertice iniziale, ma non è per niente malaccio: ci sono il rock blues un poco anonimo “Haunting Me”, la psicotica “Insommia” con la psicosi creata dalla chitarra insolitamente distortissima e piena di… muco di Powell, il cadenzato boogie quasi Ac-Dc (con rispetto parlando) di “Helpless”, il rock’n’roll semplice semplice “Pay the Price”, l’arioso pensoso e fascinoso arpeggione di “New Rising Star”, fra gli episodi migliori. E ancora, il quasi blues con intro acustica “Master of Disguise” e per terminare l’episodio “epico” finale, il più abbondante, quello in odore di progressive, quello con le chitarre che fanno e disfano senza remore, quello più adatto a costituire dal vivo l’acme del concerto…

S’intitola “Life Line” e presenta un inizio prezioso, quasi fusion, con insolite e geniali armonie fra le due chitarre ritmiche, sulle quali si posa il lancinante lavoro solista di Powell. Dopo il primo cantato la canzone s’indurisce e rotola verso un break ed una seconda parte ben più spedita e complessa, quasi del tutto strumentale, ennesimo contributo dei Wishbone Ash alla nobile causa del rock chitarristico a tutto tondo… Par di sentire i Lynyrd Skynyrd di “Free Bird”, piovono svisate di chitarra da tutte le direzioni!

Pregi ed anche lacune del gruppo sono tutte presenti su “Just Testing”: le chitarre sono più che mai interessanti, variegate, creative, coese (ma non sono molti i giochetti d’armonia eseguiti insieme, stavolta…), le canzoni si diversificano bene fra di loro fra più immediate e più introspettive, più irruente e più rilassate. All’opposto, continua a non convincermi Martin Turner sia come bassista (prolisso, con brutti suoni e poco tiro) che come cantante, stridulo quando sforza e poco emozionante quando cerca l’interpretazione nei pezzi più tranquilli e d’atmosfera.

Just Testing” è un altro lavoro da quattro stellette dei Wishbone Ash, fra l’altro a me personalmente molto caro perché andai a vederli dal vivo (a Forlì) proprio nella tournée di lancio di quest’album, del quale ne fu eseguita una buona metà.

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