Stereotipato.

E’ l’aggettivo che traspare fortemente in questo tredicesimo album (in sedici anni di carriera, fin lì) dei Wishbone. A cominciare dalla copertina, un trucido e burinissimo stereotipo heavy metal in quanto a soggetto, grafica e lettering.

Irritante vedere questo glorioso gruppo, a corto di fiato negli anni ottanta come tutte le realtà artistiche saldamente ancorate al rock classico dei settanta, provare a vestire panni non suoi e cioè quelli di un pop metal che in mano loro suona anonimo, piatto, evanescente, preso ad ammazzare tutte le loro belle caratteristiche di banda hard rock agile e melodica ben agganciata a blues, folk inglese e progressive.

Per fortuna questa debacle è momentanea: gli anni ottanta in qualche modo finiranno e con essi l’ottusa corsa di tutte le case discografiche e dei produttori alle uniche due forme allora accettabili (secondo loro) di musica rock: il synth pop/post punk/new wave ecc. e il pop metal/class metal/aor ecc. ecc.

Tra queste due alternative gli sbandatissimi Wishbone Ash del 1985 scelgono dunque la seconda. E si attrezzano per la bisogna assumendo come cantante e bassista Mervyn Spence, ex-Trapeze, “urlatore” adeguato come doti tonsillesche ma del tutto anonimo, preso a star sempre sulle note alte sparando frasette musicali piattissime e ripetitive. Nel mentre, le due stimate chitarre del gruppo provvedono con stereotipatissimi accompagnamenti stoppati nelle strofe e power chords, bicordi sostenuti e distorti al massimo nei ritornelli.

I Wishbone Ash insomma pisciano fuori del vaso, chissà se per volontà loro o teleguidati dai manager, per cercare di riagguantare lo scemato successo riciclandosi nell’andazzo mainstream… Il risultato è largamente insufficiente, le canzoni non si distinguono una dall’altra, perché il nuovo arrivato canta sempre e ottusamente la stessa canzone e perché le due chitarre non combinano niente, né insieme come da specialità della casa, né da sole.

In questo panorama di metal moderato e “ruffiano” (nelle intenzioni, perché il disco non conquisterà nuovi proseliti raffreddando anzi l’affetto di molti vecchi fans) si trova certamente più a suo agio l’eclettico Laurie Wisefield, comunque alla sua ultima collaborazione coi Wishbone (passerà di lì a poco ad essere il chitarrista di fiducia di Tina Turner). L’altro chitarrista Andy Powell, purissimo musicista settantiano nella scia di Blackmore, Clapton e Page, qui non tocca palla, compone poco, canta pochissimo e secondo me gli girano pure le balle.

Amen. Dopo questo disco Wisefield se ne va, Mervin Spence pure, a far danni da qualche altra parte, ed i Wishbone Ash sospendono le trasmissioni per qualche anno in attesa che passi la buriana. Questo è esattamente il disco con il quale NON iniziare la conoscenza di questa splendida formazione.

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