Gli immarcescibili Wishbone ricominciano a perdere pezzi con questo lavoro datato 1991, il quale formalizza l’abbandono, senza ripensamenti, del batterista storico Steve Upton, deciso a riporre le bacchette in un cassetto ed accettare un lavoro da manager di un castello/albergo. Upton era stato molto importante sin lì negli equilibri interni del gruppo, ricoprendo ruoli di gestione organizzativa e finanziaria che i tre compagni, impegnati felicemente a tempo pieno a comporre, cantare e arrangiare, non avevano spirito e voglia di sostenere.

In sua assenza, chi rimane viene costretto a prendere più decisioni ed assumersi più responsabilità pratiche ed allora tutti i nodi verranno al pettine, in particolare il conflitto gestionale e caratteriale fra il chitarrista Andy Powell ed il bassista Martin Turner.

Per adesso però il gruppo tiene botta, sostituendo Upton con una coppia di batteristi, per inciso entrambi più dotati musicalmente di lui! Due, giacché il primo Robbie France viene accompagnato alla porta dopo avere inciso tre pezzi… Martin Turner gli rinfacciava di “pestare” troppo! Bel pestacchione in effetti questo France, e Turner al solito a non capire un cacchio… D’altronde il nuovo batterista veniva da forti esperienze metal (Diamond Head, UFO) e con lui al posto del jazzistico, preciso ma monotono Upton il “tiro” dei Wishbone Ash subisce un sensibile incremento, ascoltare per credere.

Niente da fare però, e la band per quieto vivere ripiega su di un altro, più che adeguato musicista, lo scozzese Ray Weston il quale provvede a riempire le tracce della batteria nelle altre sette canzoni di quest’album, per poi restare in formazione per parecchi anni seguenti.

Il disco è bello! Ted Turner si mostra più che mai in palla colla sua lap steel, la sua voce ieratica e sottilmente malinconica, la sua capacità di estrarre melodia da ogni nota di chitarra solista suonata. Prestigiosa la sua prova in particolare sulla finale “Standing in the Rain”, un’avvolgente semi ballata ripiena del meglio di quanto possa dare il rock melodico: arpeggi sbocconcellati alla Police, riverberatissimi ritornelli corali dall’agganciante melodia, pastosi e sonori assoli chitarristici. Uno dei migliori pezzi dei Wishbone Ash, niente di meno.

L’Andy Powell svogliato del precedente lavoro “Here to Hear” sparisce e l’ormai quasi pelato chitarrista è di nuovo attivo a comporre, e cantare colla sua voce un po’ chioccia. Le incombenze vengono divise equamente fra i tre galletti storici del gruppo: i due chitarristi cantano quattro canzoni ciascuno, il bassista solo due però produce (bene) il tutto.

Ogni cosa sembra possa proseguire bene, ed invece no: questo è l’album finale, nei Wishbone, per entrambi i Turner, bassista e chitarrista. Seguiranno cinque anni di relativo silenzio discografico, indi molte novità…

“Strange Affair” è dunque un album da possedere, se piace il genere: solidità compositiva, varietà di voci soliste e in coro, tante chitarre benissimo pettinate, adeguata spinta batteristica (finalmente…). Quattro stelle piene.

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