Beatitudine e inquietudine insieme.

Riflettevo con un mio amico tempo fa, era l'aprile del 2005, mi trovavo seduta in mezzo al giardino di una villa palladiana, credo Villa Capra, nella campagna vicentina, uno scenario da favola. E la musica era di una bellezza incomparabile, perché non c'è niente altro prodotto da essere umano che possa reggere il confronto con il concerto per pianoforte n°21 KV 467 di W.A. Mozart.

Ora puoi togliere il prato, i fiori, la magia del Palladio, rimane Mozart a riempire l'atmosfera e tutto il resto scompare o diventa superfluo.

Esiste al mondo una composizione migliore di questa? Qui siamo in presenza del Genio salisburghese all'apice della creatività. Il concerto si compone di Allegro, Andante e Allegro Vivace Assai ed è intitolato a Elvira Madigan, seguendo il costume dell'epoca di dedicare partiture a nobildonne o dame di corte. Dopo le prime, movimentate battute iniziali, ecco che arriva l'incantesimo. Sei minuti e 48 secondi per sognare, librarsi nell'aria, sperimentare l'assenza di forza di gravità. La mente è già altrove. Il corpo si lascia guidare verso lidi ignoti.

E' questo lo stato di grazia, la beatitudine? Beh, sì. O se non lo è, ci va molto vicino. Ma non basta, perché Mozart non stimola solo i ricettori del bello. In quel passaggio epocale, mentre il violino lieve come una piuma si fa strada e interviene l'orchestra a creare la struttura d'appoggio, dopo la purezza del suono entra in scena il pianoforte e il dialogo con gli archi si fa interrogativo, preoccupato. La serenità lascia spazio all'angoscia, quel senso di leggerezza sperimentato un attimo prima cede il passo all'inquietudine dell'animo.

Mozart muove tutte le nostre corde scoperte, allarga il cuore e posa sopra il viso un velo di malinconia. Da ascoltare. Da usurare anche. Amadeus è oltre il tempo.

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