Amo alla follia questo figlio di puttana, uno la cui filosofia di vita si riassume in "chi a una è fedele verso l'altre è crudele" è degno della più grande ammirazione. 

Dongio, per chi non lo sapesse, è considerato il capolavoro di Wolfango Amedeo, uno che in tema di scopate extra moenia se ne intendeva assai. Dicono fosse massone, ma io so bene di che tipo di "masse" si occupava.


Beh, forse sono stato limitativo, Dongio è "l'opera", non ci sono cazzi, Wagner, Verdi, Rossini e tutti gli altri, spiace per i loro fans, ma stanno una spanna sotto. Ma andiamo con ordine, e cominciamo dalla trama, bisogna pur inquadrare la vicenda: Dongio scopa tutto ciò che si muove, di base lo fa a Siviglia, dove abita, ma le trombate internazionali non mancano, anzi. Va in giro con il suo servo Leporello, che gli tiene la contabilità sessuale, oltre a reggere il moccolo. Ovvio che uno che semini a tutto spiano prima o poi qualche cuore lo infranga, ed ecco la povera Donna Elvira, trombata/mollata in uno zerouno, ma mai rassegnata (prima parente: ma dico, con uno così ti vuoi fare una famiglia?).

Una sera, Dongio tenta l'assalto a Donna Anna, zoccola che non sa di esserlo, la quale dopo essersi fatta approcciare chiama aiuto (seconda parente: anche questo tipo di donna è ben strano, prima te la fanno annusare, poi casualmente si ricordano di avere il ganzo e allora quando uno affonda, loro scappano). Arriva il padre, detto il commendatore, Dongio rimette il pisello nei pantaloni e sfodera la spada, uccidendolo (terza parente, il dialogo tra Dongio e Leporello, spettacolo: "chi è morto, voi o il vecchio?" "che domanda da bestia! il vecchio" "Bravo, due imprese leggiadre, sforzar la figlia ed ammazzare il padre").

Il resto della vicenda è: Dongio intento nel suo lavoro di cercatore di figa, ma quando la trova e la rimorchia - Zerlina la contadina - arriva Donna Elvira che gli rompe i coglioni sul più bello, pisello rimesso ancora dentro, fuga e raggiro affidato a Leporello (quarta parente: Zerlina il giorno dopo doveva fare una cosa qualunque come sposarsi e ci stava cascando come una pera cotta, altro folgorante esempio di donna, eh?). L'intreccio narrativo arriva alla fine a far insinuare il sospetto che sia proprio Dongio l'uccisore del padre di Donna Anna (quinta parente: il coup de theatre di Donna Anna che riconosce in lui le movenze dell'assassino, ma poi deve spiegare al fidanzato tonto com'è che stava a casa di notte con un uomo, e quello che si beve tutta la storia, geniali queste donne, eh?). Quando sono tutti risoluti a fargliela pagare, tranne Donna Elvira che va beh, è un caso patologico e lo supplica di redimersi (e di scoparla di nuovo), il morto si rompe i coglioni di tutti e tutto e rientra in scena mentre Dongio è a cena con fagiano e Marzemino. Stretta di mano infernale, invito a cena del vecchio all'altro mondo, Dongio accetta, si spalanca il pavimento e le fiamme lo avvolgono, tra la disperazione di Leporello, unico presente. Fine.

Ora ci vorrebbe una bella analisi critica dell'opera, musica di Wolfango e liriche di Da Ponte. Chiedo aiuto alla musa della Serietà. Autodefinito "dramma giocoso", un ossimoro. L'ossimoro è la chiave dell'opera. Se lo perdi di vista, non capisci più. Un ossimoro è l'overture, partenza funerea, trombe e tromboni apocalittici, poi snodo da allegra scampagnata, e finale da marcia trionfale. Wolfango ci sta avvisando, non prendere la cosa sul serio, si parla di cose tragiche, anche la figa può esserlo, ma bisogna sempre tenere pronto il sorriso. Sorridere piangendo o piangere ridendo, si può far tutto ascoltando il Dongio. Tutto è lecito, guarda cosa fa il libertino e impara.
Un ossimoro è la compresenza della leggiadria che aleggia in scena e dell'incombente tragedia, con la musica pronta a creare atmosfere ora cupe ora gioiose, in un batter di foglio di spartito passi dallo spasmo dell'incontro Dongio-Donna Anna, scendi nel gorgo del lamento per la morte del commendatore per risalire in cielo con l'umorismo surreale del dialogo citato con Leporello. Tutto va a ondate, Wolfango ti accarezza per poi prenderti a pugni, ti cura le ferite per versarci il sale.

Non c'è spazio per i finti sentimenti qui. Vince (morendo) chi è vero. E la musica snida tutti, impietosamente. Ottavio, fidanzato cornuto, è ridicolo, e tanto più orgogliose e dignitose le sue arie, tanto più patetico ne risulta il personaggio. Donna Anna è vera solo quando piange il padre, la musica la sorregge quando chiede a Ottavio di uccidere l'uccisore, ma l'abbandona quando confessa le dinamiche di quella notte. Zerlina è vera solo quando cade nel gioco d'amore di Dongio (l'aria più dolce dell'opera tutta, "Là ci darem la mano", Wolfango la riserva a lei), ma è finta quando chiede al futuro sposo di picchiarla per punizione. Elvira, l'eterna innamorata, seduce lo spettatore con la grazia rabbiosa dei suoi lamenti, fino a essere messa a nudo nella scena finale, dove l'assalto all'arma bianca al cuore di uno che sta per incontrare la morte sa di ridicolo e fuori tempo, come d'altronde è sempre stata. E poi Leporello, quello del catalogo delle scopate e delle mille battute argute, quello che raccoglie le briciole lasciate dal suo padrone, quello che piace perchè semplicemente fa ridere. Ma che pena la scena finale, nascosto sotto il tavolo per non vedere, e che tristezza le sue ultime parole, "e io vado all'osteria a trovar padron miglior", dove ridere ormai non fa più, condannato da una vita vissuta di riflesso.

Lui, Dongio, è quello che Mozart non abbandona mai. Gli regala la musica dolce per sedurre e quella tempestosa per la fuga, quella gioiosa per far baldoria e quella audace per prendersi gioco dei vivi come dei morti. Neppure alla fine lo abbandona, dove letteralmente gli gonfia il petto e lo spinge a sputare in faccia alla morte il suo grido di vita: "Ho fermo il core in petto, non ho timor, verrò". E come avrebbe potuto abbandonarlo? Sarebbe stato come abdicare a se stessi.

Epilogo

Non sono un grande esperto di opere, ve ne sarete accorti, non ho titolo alcuno per parlarne, e mi scuso con gli appassionati (anche, ma non troppo, per la frase su Verdi e Rossini). Sono cose più grosse di me e lo so bene. Ma proprio per questo volevo dire a chi pensando di non essere all'altezza non vi si accosta che in fondo vale la pena, non c'è bisogno di capire tutto a fondo per forza ed è più "facile" di quanto si creda. Da frequentatore di concerti rock un giorno mi sono trovato in giacca e cravatta alla Scala, e non mi hanno buttato fuori... Mozart è un gigante, ma assicuro che il suo Dongio è una delle esperienze musicali più totali che possa capitarvi. Si può vivere con più leggerezza senza essere leggeri, questo me l'ha insegnato lui.

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