Di questo film ricordavo soprattutto i commenti aspri di amici e compagni di liceo, oltre che l’immagine indelebile dell’Achille di Brad Pitt. Ho voluto allora rivederlo, in versione Director’s cut (oltre 3 ore) per capire se veramente si trattava di una porcata oppure di semplice sfortuna critica. Una cosa è certa: Troy rappresenta quasi l’archetipo di come gli americani trattino certe cose tutte europee come l’epica, la letteratura antica, eccetera. Cioè facendo un taglia e cuci abbastanza libero, cambiando personaggi, snaturandone altri, modificando gli eventi, salvando chi doveva invece morire, e avanti così. Sono innumerevoli i cambiamenti apportati alle vicende dallo sceneggiatore David Benioff, lo stesso che qualche anno dopo si cimenterà con Il Trono di Spade, con risultati sicuramente migliori ma anche lì non esenti da scivoloni.

Insomma, Troy segue a grandi linee le vicende del mito, ma non ha senso valutarlo solo in relazione al celeberrimo antecedente letterario. Com’è in quanto film? Meno peggio di quanto si dica, ma non siamo certamente di fronte a un capolavoro. Il lavoro di Petersen e Benioff ha degli elementi di pregio e altrettanti limiti e tutto sommato risulta guardabile senza mai convincere e coinvolgere in modo pieno, entusiasta e rapito. Non è un’epica vuota di contenuti, questo è certo. Anzi, se confrontata con certi esiti del cinema più recente (ondata di supereroi), la narrazione risulta decisamente più interessante e meno banale: il materiale da cui si attinge è talmente fertile che pur sfrondandolo di infiniti dettagli e sfumature, resta comunque valido. Voglio dire, quanti film di questo tipo possono vantare un eroe capriccioso e imprevedibile come Achille? E poi, quanti film epici riescono a costruire un simile equilibrio tra le due fazioni in lotta?

Gli Achei e i Troiani sono raffigurati con pari (o quasi) attenzione a mostrarne meriti e colpe. Se vogliamo, si eccede quasi nel far passare alcuni Greci come spregevoli e alcuni Troiani come angelici. Ad esempio, nel mito Ettore non uccide Patroclo senza saperlo e poi gli sottrae l’armatura, appartenente ad Achille. Non mancano quindi sbavature anche in questo senso; più che altro, risulta difficile capire le ragioni greche perché essi vengono presentati a tratti come dei barbari assetati di sangue: Menelao, Aiace, lo stesso Agamennone, sono tratteggiati in modo troppo schematico e severo. Al contrario, i Troiani sono quasi tutti saggi, buoni, incolpevoli. Nonostante ciò, le ragioni di Achille da una parte e quelle di Ettore e Priamo dall’altra creano un notevole contrasto all’interno delle simpatie del pubblico. E questo è un grande elemento di valore in un film bellico.

Il lavoro registico ed in generale la resa estetica non sono pessimi, ma ci sono un paio di cose che non convincono del tutto. Sicuramente la realizzazione delle battaglie più tumultuose non fa stropicciare gli occhi: il confronto facile è con Il Signore degli Anelli, di poco antecedente. Gli scontri frontali venivano resi in modo decisamente più ordinato e comprensibile; qui invece si crea molta confusione e non mancano diversi passaggi di caos puro, con uomini che si infilzano a vicenda nel trambusto più totale. Inoltre, si insiste sui dettagli cruenti esagerando con schizzi di sangue un po’ troppo accentuati. Notevolmente migliori i duelli uno contro uno: accattivanti ma non esagerati, anzi se vogliamo Achille è quasi sobrio nel combattere. In generale, a parte un paio di battaglie e l’invasione della città, si può parlare di un kolossal americano quasi misurato e non eccessivo. Nella versione Director’s cut c’è più spazio per i personaggi e questo è bene, ma viene anche inserita una più estesa sequenza riguardante l’invasione e la distruzione di Troia. Sarebbe stato meglio non aggiungerla. Non perché sia infedele alla letteratura, ma per il modo grossolano in cui si mostrano uccisioni di donne e bambini.

La regia non brilla in diversi altri passaggi. Quando gli eroi combattono, i primissimi piani di Elena, Priamo e Andromaca tornano in modo troppo insistente. È giusto volere mostrare la preoccupazione e il dolore dei cari mentre i guerrieri si affrontano, ma insistendo così si passa da una sollecitazione che dovrebbe essere delicata a una imposizione del regista, che continua a ribadirti: «Guarda come soffre il povero Priamo». Anche le scelte di cast, che funzionano, sono legate a questa tendenza alla semplificazione portata avanti da Petersen: Pitt bello e terribile (ma capace di gesti nobili), Agamennone arrogante e superbo, Paride bello e poco coraggioso, Ettore uomo saggio e morale, nonché formidabile guerriero. Più complesso, non a caso, l'Odisseo di Sean Bean. Bisogna tuttavia ammettere che, visti gli obbiettivi posti, le scelte sono in fin dei conti funzionali. Insomma, un buon prodotto di intrattenimento, che tra tante infedeltà riesce in qualche momento a far baluginare la grandezza ciclopica del mito da cui ha tratto ispirazione.

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