Dietro all'emblematico titolo "One Hundred and One Dalmatians" si cela uno dei prodotti più riusciti e più frizzanti della Walt Disney: "La carica dei 101".

Inutile negarlo, la grande fabbrica dei sogni Walt Disney ci ha allietato le giornate da bambini. I fumetti di Topolino, le videocassette comperate dai nostri genitori per farci contenti (la prima che mi comperarono fu "Bambi": quanto piansi!), i Natali passati davanti alla televisione per vedere se passavano qualche cartone animato, e puntualmente arrivavano "Dumbo" e "La spada nella roccia". Poi crescendo si commette un errore imperdonabile: snobbare i cartoni. Si passa ad altro, a film cosiddetti per adulti, a generi che nemmeno credevamo potessero esistere (l'horror gotico? E chi lo conosceva!) e gli unici cartoni che si ha voglia di guardare sono quelli un po' smaliziati, dai "Simpson" a "Sout Park".

Ma l'errore è gravissimo. Perché gravissimo è bollare i cartoni della Disney come semplici bambinate. Quando sei piccolo di quei cartoni vedi solo l'aspetto superficiale (le risate, le lacrime), ti accontenti della storiellina e ti senti soddisfatto. Ma crescendo dovresti accorgerti che quei cartoni contengono qualcosa in più: significati non banali (l'accettazione delle diversità in "Dumbo", la perdita dell'innocenza in "Bambi", i viaggi drogati di "Alice nel paese delle meraviglie") e ci si dovrebbe accorgere che spesso, questi cartoni, contengono innovazioni stilistiche e raffinatezze tecniche a tratti persino superiori di quelle di tanti osannati film d'autore (gli astrattismi musicali di "Fantasia" valgono tanto quanto un qualunque film di Kubrick!). Certo, alcuni cartoni sono un po' bruttarelli e sfigurano di fronte a certi capolavori (tra i film meno riusciti della Disney c'è da citare almeno il piattissimo "Red e Toby") ed è anche vero che negli ultimi anni il livello medio dei cartoon si è un po' abbassato, malgrado alcune piacevoli sorprese come "Monster & Co." o "Gli incredibili".

"La carica dei 101" è uno dei più bei Disney di sempre, perché piace ai bambini (i cagnoloni dalmata affascinano qualche scolaretto in età elementare) e piace agli adulti perché contiene alcune scene simili a tanti film ‘seri' che Hollywood ci ha propinato in tanti anni di fedele intrattenimento. Inutile stare qui a raccontare la trama perché ormai la conoscono tutti, così come tutti conoscono Crudelia De Mon, una delle cattive più cattive della storia della Disney. Impellicciata anche in pieno agosto, tra le labbra un ottocentesco bocchino signorile, capelli misti tra il bianco ed il nero, sguardo truce e gambe sottilissime. Si tratta di una delle più riuscite autoparodie disneyane che il pubblico ricordi: Crudelia incarna tutti i difetti, i pregi (pochissimi in verità), le somiglianze e le sfaccettature di tutti i cattivoni precedentemente creati dalla Disney. Una summa, un compendio, un piccolo miracolo grafico che avrà, a metà anni Novanta, persino una caratterizzazione umana abbastanza riuscita da parte di Glenn Close.

Intorno tutta una storia d'amore fra cani e cagnolini, i dalmata che all'epoca fecero scoppiare una vera e propria fobia, un lunghissimo finale in cui tutti i cagnolini vengono salvati e riportati a Londra dopo una lunga fuga ed un inseguimento tra cascine e campi spogli che ricorda molto da vicino le lunghe evasioni di massa di alcuni film di guerra o carcerari e che, curiosamente, pare un'anticipazione di un famoso film, "La grande fuga", che vedrà la luce solo due anni più tardi (chi ha rubato l'idea a chi?).

Ma "La carica dei 101" è anche qualcos'altro, qualcosa di effettivamente storico: per la prima volta venne utilizzato il procedimento tecnico xerox che permetteva la duplicazione dei personaggi. In sostanza, al posto di disegnare 101 cani se ne disegnavano una quindicina e poi si moltiplicavano, quello che oggi si può normalmente creare con un computer. Tecnica innovativa, vista l'epoca, sicuramente rivoluzionaria. Tecnica moderna che porta il nome di un genio, Ub Iwerks, il più dotato di tutti tra i disegnatori della fabbrica Disney. Ebbe un po' di disavventure qua e là, qualche fallimento personale, ma fu un genio. E Walt lo sapeva.

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