Se volete inquadrare i Wormrot, guardare questo video può essere un buon tentativo. Tre bravi giovanotti di Singapore, ben composti e coscienziosi, che discettano sullo stato della loro arte accanto al disegno di due cazzi rigonfi. Alla fine dell'intervista, condotta in un bizzarro pidgin anglo-indo-malesiano, il chitarrista rifiuta una bottiglia d'acqua imbarazzato.

La prima cosa da rimarcare riguardo a "Voices" è che, pur essendo l'album Grindcore del 2016, è prodotto e suonato coi controcazzi (rigonfi): Arif, al microfono, continua a fare proprio quel cazzo che vuole, la chitarra del buon Rasyid tesse fini trame di granito, e il nuovo drummer, tal Vijesh, è ancora meglio del misterioso Fitri, sprofondato, a detta della stessa band, in una merda troppo profonda da sopportare; e questo, anche se le pelli raggiungono inedite vette celestiali, ci dispiace.

La seconda cosa da dire è che i primi 6 minuti, dopo i dovuti ascolti, si sono dimostrati uno spettacolo da dar giù di testa: si inizia richiamando il passato (nella forma di "Abuse"), ma si continua, su "Hollow Roots", sciorinando fin da subito le nuove progressioni chitarristiche di stampo convergiano che il gruppo ha aggiunto al proprio sound. Dopo questi 6 minuti c'è "Fallen Into Disuse", che inizia come "Unchallenged Hate", e quindi mi piace; si procede su un Grind qualità Wormrot - pregevole, ipertecnico e variato - e si conclude con quello che, purtroppo, secondo me è il grosso punto debole: il finale. Su questo disco, come da tradizione, le mazzate da 5 secondi non mancano; tuttavia, nella parte conclusiva ci sono tre pezzi che raggiungono o sforano i tre minuti: possono piacere o non piacere, a me, visto il contesto, non piacciono. La voglia di sperimentare è sacrosanta, ma nei gruppi Grind mi fa sempre un po'paura: c'è stato di peggio, ma il finale in definitiva si trascina e rende "Voices" troppo lungo: sì, 26 minuti possono essere troppi. Chi vivrà vedrà se i pupilli della Earache torneranno alle origini dure e pure o proseguiranno su questa direttrice con maggiore convinzione e, soprattutto, direi, maggior efficacia.

La terza cosa è che dopo la prima canzone ero come la ragazza mora in copertina, quella con la bocca semiaperta. Dieci minuti dopo ero già come la ragazza bionda...

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