Dal mio blog

Un netto passo indietro rispetto a Mommy, il nuovo film di Xavier Dolan è estremamente ambizioso nelle intenzioni. Raccontare l'impossibilità di comunicare con i propri familiari e dire loro che la propria vita sta terminando, perché a dominare è un chiacchiericcio che alterna superficialità, nevrosi, insulti, pettegolezzi, faide, momenti di genuino divertimento e qualche prezioso ricordo dei tempi passati. Le chiacchiere non si arrestano mai, proseguono ciclicamente il loro percorso, e intanto gli argomenti davvero importanti sfuggono via, continuamente rimandati.

Il problema, nel rappresentare un soggetto di questo tipo, sta nell'individuare il giusto equilibrio tra necessità mimetiche e il bisogno invece di variare, di segnare un divario rispetto alla realtà e alle sue aberrazioni. Il cinema non è mai una copia perfetta del reale. Ecco forse in questo senso Dolan si lascia un po' prendere la mano dalla volontà di mimesi: niente di male, ma per sostenere a livello di sceneggiatura una simile ambizione sarebbe servita una scrittura decisamente più ispirata e meno palesemente in stile supercazzola. È questo l'enorme limite del film: dopo un po', non molto a dire il vero, le intenzioni dell'autore si palesano troppo nitidamente e allora si capisce che la supercazzola andrà avanti fino alla fine.

Per il resto, c'è molto di buono, ma quasi nulla che non si fosse già apprezzato negli altri lavori di Xavier. Forse l'unico cambiamento significativo riguarda le musiche, che da un lato osano arrischiarsi anche sul crinale del pop commerciale (clamorosa la scelta di Dragostea Din Tei) dimostrando la capacità del regista di ridare semantica a canzoni anche poco significative in sè; dall'altro si nota un uso estensivo di commenti musicali fatti con archi o simili. Una tale, reiterata, sottolineatura enfatica non fa bene al film e lo tinge di un patetismo un po' inaspettato per il giovane sfrontato Dolan.

Anche la costruzione dei personaggi, per quanto efficace, risulta meno convincente rispetto a Mommy, ma anche a opere precedenti. Gli attori sono ottimi, ma manca quella complessità a tutto tondo che aveva reso indimenticabili altre figure. Qui ognuno ha un suo ruolo ben definito e, per quanto non manchino elementi contraddittori, i vari profili tendono a limitarsi alla loro funzione diegetica. Non ci sono grosse sorprese o contraddizioni davvero laceranti, anche perché si capisce presto l'andazzo folle dei dialoghi e quindi la loro forza ne esce sminuita. Diventa tutto una farsa, o almeno così mi è parso.

Il maggiore pregio riguarda invece la regia e la gestione della dimensione teatrale dell'opera. Dolan polverizza spazio e tempo, anche questa volta, e trasforma le vicende di una mezza giornata in meccaniche esistenziali, in simboli che riassumono i significati di vite intere. Il cinema del giovane Dolan ha sempre un grande impatto: le inquadrature si soffermano sui volti e li indagano, gli ambienti parlano, ogni momento della pièce teatrale della vita è portatore di significati assoluti, ontologici. Ma da questo film, così trionfalisticamente annunciato, mi aspettavo decisamente di più. Mi sembra invece privo di un momento poetico nuovo e sentito.

6.5

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