Un po' di contesto per i non addetti al settore: anno domini, 2021. In seno alla corrente trap, nasce nei bassifondi più marci del web una nuova corrente che, pescando a piene mani dal movimento hyperpop, ne ripulisce i lati più limacciosi, declinandola in una più morbida e soffice ottica cloudy. Quello che nasce viene ribattezzato come "Rage Music".

Tra gli esponenti principali di questa nicchia, chi è riuscito a ritagliarsi il proprio spazio, ottenendo un numero crescente di attenzioni, è Yeat, rapper statunitense di origini messicane e rumene. A conquistare un pubblico sempre più grande, è la sua proposta, ovvero un riverbero di gorgoglii digitali e echi distorti. La voce, segno di tangibilità umana, viene sepolta costantemente da tonnellate di autotune e vocoder, diventando parte integrante di quela chiassosa e pantagruelica orgia robotica.

"AftërLyfe" è l'ultimo tassello di questa delirante prosopopea distopica, iniziata due anni fa, un autentico manifesto e la versione ipercalorica del rapper.

L'album si presenta come un pantagruelico banchetto di ditorsioni sonore e rumori industriali, ricco di numerose incursioni techno rave e sfuriate glitch.il linguaggio si fa sempre più incomprensibile ed estraniante. L'ascolto delle 22 tracce che compongono la corposa tracklist è un vero e proprio delirante incubo a occhi aperti, con una prima parte più acida e ruvida, e la seconda più rilassata nei toni, quasi lisergica (con la tripletta finale che purtroppo smorza eccessivamente i toni).

Il rap di Yeat, va detto, non si discosta dalle consuete e prevedibili mimiche machiste e materialiste. Manca il senso della melodia piena di un Lil Uzi Vert e il potenziale da meme internettiano trash di un Playboi Carti, ma la parola riesce paradossalmente a passare in secondo piano, finendo inglobata in questa palude musicale, confondendosi nel marasma generale.

Il monumento definitivo di questo sottogenere del rap. Non per tutti.

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