Primo disco degli "Yellow Magic Orchestra", omonimo uscito nel 1978 per Alfa Records, elenca una summa di elementi che fecero la fortuna del complesso, il primo nel panorama nipponico del periodo a porsi come affiancatore (nonché prosecutore in chiave orientale) di un'elettronica dichiaratamente ispirata a quella dei tedeschi Kraftwerk. La sterminata carriera musicale di Ryuichi Sakamoto, qui ben piazzato dietro ai sintetizzatori, era già cominciata nello stesso anno (1978) con l'album solista "Thousand Knives Of Ryuichi Sakamoto" uscito per la Columbia, che raccoglieva al suo interno alcuni dei suoi classici più noti ("Thousand Knives" e "The End Of Asia" in primis).
Gli Yellow Magic Orchestra (d'ora in poi YMO) non differiscono molto dall'elettronica "etnica" proposta dal Sakamoto solista, bensì il loro lavoro si presti maggiormente a un pubblico più esteso. L'esperimento si rivelerà come uno dei più propizi per il panorama pop (non solo) giapponese dei primissimi anni '80 (tanto è vero che ad oggi il gruppo è ancora molto conosciuto e stimato in patria). I punti di maggior forza del lavoro fatto da Sakamoto e soci (Haruomi Hosono al basso e Yukihiro Takahashi alla batteria) risaltano negli arrangiamenti elettronici innovativi e vitali, a volte quasi "giocosi" (linea di demarcazione dalla fredda precisione della scuola teutonica) , dall'innegabile esotismo evocato (in particolare da quel periodo in poi sempre più pionieri cominceranno a contaminare il rock occidentale con generi musicali tendenzialmente orientali o africani) e un fattore di ballabilità/orecchiabilità che rendeva facilmente fruibile il risultato. "Yellow Magic Orchestra" detta insomma le basi di una nuova piccola rivoluzione in campo musicale, senza prendersi mai troppo sul serio e senza risultare insostenibile.
Ovviamente sono presenti diverse pecche, ma gli YMO avranno occasione di ribadire il concetto (in forma più organica e decisa) già con il loro secondo lavoro in studio ("Solid State Survivor", 1979, a mio avviso un album perfetto). Se possono essere elencati dei difetti, essi hanno generalmente a che fare con la struttura "naif", solitamente tipica di un album d'esordio e alcuni riempitivi che abbassano il livello standard (che comunque resta molto elevato) , nonché (inevitabilmente) alcuni suoni che sentono il peso dell'età. Si tratta comunque di 37 minuti assolutamente piacevoli che non si esauriscono al primo ascolto. Il kitsch fine a sé stesso non è contemplato. Curiosa la copertina commercializzata in Giappone e Regno Unito, che ritrae un astuccio per sigarette e un vecchio televisore stile anni '50 mentre visualizza un videogioco (il richiamo al mondo videoludico sarà sempre ripreso, soprattutto nei suoni 8-bit, dai primi lavori degli YMO). Neanche a dirlo, l'introduzione è affidata a" Computer Game "Theme From The Invader" ", che comprende alcune sequenze sonore 8-bit appunto, tipiche del periodo di boom delle console a fine anni '70 (e siamo anche in Giappone, quindi l'habitat naturale). Va a incastrarsi perfettamente con la successiva "Filecracker", chiara dichiarazione d'intenti del trio, una miscela di melodie orientaleggianti, arrangiamenti elettronici e spruzzi qui e là di arpeggi e trilli di implicita derivazione sinfonica (Sakamoto è laureato in musica presso l'università delle belle arti di Tokyo, con specializzazione post-laurea in musica elettronica e musica etnica, chiamalo stupido). "Simoon" rallenta i battiti, virando verso atmosfere velatamente swing e introducendo un must, il Vocoder Korg (usato e abusato anche dal Sakamoto solista nei primi lavori, chiaro riferimento ai Kraftwerk, tra i primi a utilizzarlo). Il lato A approda a "Cosmic Surfin'", un altro curiosissimo divertissement che ribadisce la formula, operando una vera e propria sintesi tra gusto occidentale (in questo caso un jazz/funk allegro e sbarazzino) e orientale (nelle armonie). Chiusura affidata a una ripresa della formula 8-bit, con "Computer Game "Theme From The Invader" ". Il cambio di lato incredibilmente offre di più, specie nei primi momenti. "Tong Poo" può definirsi il manifesto dell'intero disco (e forse dell'intera filosofia YMO). Una canzone che mal si presta a questa definizione (meglio sarebbe parlare di "piccola sinfonia"), presenta una linea melodica di razza, estremamente accattivante e versatile, stimola l'immaginazione che viene immediatamente richiamata a un oriente tanto distante quanto ormai imparentato alla nostra musica (o la nostra alla loro?).
Uscì in due differenti edizioni (una per il mercato giapponese ed europeo e una per il mercato americano, quest'ultima comprensiva di alcune parti cantate, assenti nelle altre). "La Femme Chinoise" è una chiara prosecuzione dell'intento, condito da una voce in francese fuori campo. La conclusione passa attraverso "Bridge Over Troubled Music" (piccola allusione?) e "Mad Pierrot", porta di collegamento con le armonie "particolari" e in un certo dissonanti che troveranno più spazio nell'album che seguirà (il già citato "Solid State Survivor") , vero trionfo di sequencer, moog vari e prophet 5. La versione giapponese presenta poi un'ulteriore minuto di chiusura a "Acrobat", ludico potpourri che non cambia il sapore della pietanza, ma ti da la conferma che tutto sommato è... solo un gioco.
Il successo di vendite verrà coronato un paio d'anni più tardi, ma intanto gli YMO sono usciti allo scoperto in modo originale, elegante, coraggioso e sorridente. "Yellow Magic Orchestra" resta ancora ad oggi un disco molto curioso e di spessore, non esente da difetti ma decisamente consigliato a tutte le categorie di ascoltatori. Un bel modo per immaginare il Giappone, distanti anni luce da un certo tamarrissimo j-pop. Da ascoltare piuttosto in sequenza con "Tin Drum" dei Japan (con i quali, in particolare il frontman David Sylvian, Sakamoto collaborerà in svariate occasioni, una su tutte "Forbidden Colours" tratta dal film "Merry Christmas Mr Lawrence").
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