C’è quell’istante in cui il velo di Maya viene squarciato al punto di rivelare la Conoscenza. Quell’istante, fragoroso quanto lo strepitio del fuoco che circonda il carro di Elia mentre sale in cielo, appartiene alla Vergine del Sole Yma Sumac ed è l'attimo in cui in "Chuncho" la cantante peruviana intona la nota più alta mai registrata in un brano musicale. In quel breve pezzo dalle forti tinte esotiche l'Usignolo delle Ande si diletta ad imitare le voci delle creature della foresta e nel cimentarsi in una sì ardua prova ove si misura col ruggito del leone e col cinguettio degli uccelli, riesce a coprire con la voce l'estensione di quattro ottave, dal baritono al soprano di coloratura. Nessuna donna aveva mai osato tanto, nessuna donna aveva mai ottenuto tanto.
Di Yma Sumac si è detto tutto e non si è detto nulla. Donna bellissima, dai tratti somatici troppo squisitamente peruviani da sconfessare quella diceria secondo cui sarebbe nata negli Stati Uniti col nome di Amy Camus, così fascinosa da rendere credibile la sua discendenza dalla stirpe degli Imperatori Inca per ereditare quel legame diretto col Dio Sole da cui inevitabilmente avrebbe ricevuto in dono il talento della sua voce immortale. Troppo cristallina la sua dote per passare inosservata in questa esistenza, tanto che la sua fama crebbe e toccò il suo apice negli States dove, in compagnia del marito compositore e chitarrista Moisés Vivanco, iniziò ad esibirsi nelle più celebri sale da concerto americane e incise dei dischi per la Capitol Records rendendo celebri in tutto il mondo i canti tradizionali sudamericani e il mambo.
V'è lo splendore del Sole che bacia il crinale della Cordillera quando Yma intona l'aria con da capo di "Incacho" e la coloratura di commovente bellezza sancisce il finale in crescendo; è ancora lei, lo si stenta a credere, a intonare il bel motivo di "Ripui" in registro da contralto e a cantare le note più basse della dolcissima romanza di "K'Arawi". Ma ciò che ammalia in ogni sua interpretazione è la facilità sovrannaturale di cambiare registro vocale in un batter d'ali, quella innata dote di passare in una frazione di secondo da una nota di maschera ad una di testa e il viceversa come nel saliscendi di "Cumbe-Maita" o ancora nell'indimenticabile finale di "Chuncho" ove i gorgheggi dell'usignolo che introducono la nota più alta mai cantata sono preceduti dalla simulazione di un rauco ruggito intonato due ottave più sotto. Tutto con estrema disinvoltura, come se le sue corde vocali fossero il prolungamento naturale della sua anima.
Di lei il giornalista musicale Don Heckman disse:
“A living, breathing, Technicolor musical fantasy – a kaleidoscopic illusion of MGM exotica come to life in an era of practicality.”
Aveva ragione nel parlare della Virgen del Sol in termini di una magnifica illusione catapultata in questa era agli antipodi della sua esotica essenza. Di fronte all'incanto sovrannaturale della sua voce, è certo che Yma fu solo di passaggio in questo mondo.
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