Siamo nel 1990 e Yngwie ritorna in studio dando il seguito al successo compositivo-commerciale dell'immortale "Odissey" dopo una sconvolgente serie di problemi personali e la dipartita degli storici membri dei Rising Force che lo avevano coadiuvato negli eighties.

Il risultato si identifica nell'uscita di questo "Eclipse", album pesantemente criticato dai medias e tacciato di "svendita" dai fans piú ottusi dello svedese, ovvero l'ala "metallara" che ben poco si ricorda delle origini hard-rockeggianti di un musicista cresciuto nel periodo musicalmente dominato da acts del calibro di Rainbow e Deep Purple.

La nuova formazione si avvale del pregevole apporto vocale di Göran Edman, giá con J. Norum in "Total Control", del basso pulsante di Svante Henrysson, musicista duttile dal retaggio pop-rock (Roxette), mentre tastiere e batteria si affidano al binomio talento-professionalitá di Mats Olausson e Michael Von Knorring. Il resto affidato interamente al maestro che, al solito, si fá carico di tutto l'aspetto lirico-strumentale del lavoro in questione, apportando una ventata di freschezza di matrice pop che stupisce, spiazza e, per gli oltranzisti, delude. "Making Love" apre le danze assestandosi su mid tempos avvolgenti ben coadiuvati dalle melodie vocali sia nelle strofe che nel chorus ficcante, mentre l'apporto solista del nostro allenta la spirale di note iper-veloci rivelandosi ragionato e brillante ma mai dimentico, comunque, del tecnicismo neo-classico di cui Malmsteen è il dichiarato leader. Con la successiva "Bedroom Eyes" si propongono influenze di matrice blues-rock abbinate all'avvincente turbinio del virtuoso, ove Edman elargisce tonalitá energiche ed avvincenti donando al pezzo un quid di potenza-armonia  davvero godibile. L' album prosegue con la strappalacrime "Save Our Love", elegante e raffinata con un solo nostalgico di classe cristallina, per giungere alle "metalliche" "Motherless Child" e "Devil In Disguise" nelle quali Malmsteen accentua l'aspetto piú ruvido di un platter sicuramente molto morbido nelle distorsioni rispetto al passato. "Judas" conferma la volontá di creare atmosfere vicine al binomio hard-rock vecchia scuola e classic pop, esplodendo in un ritornello armonicamente ineccepibile. Göran e Yngwie creano una vera magia sonica  nella successiva "What Do You Want" splendidamente introdotta da keys vellutate che si librano in un volo di bridges emozionali ed assoli dove non si spreca una singola nota alla faccia dei detrattori dello svedese che di lui ben poco conoscono. Emotivitá che continuano prepotenti nella splendida "Faultline", vero picco qualitativo nella scelta di riffs meravigliosi seguiti dal vibe sornione dei tasti d'avorio di Olausson e dalle corpose linee vocali di un cantato praticamente perfetto. Proprio la voce di Edman si rivela la scelta piú giusta per pezzi dalla tipologia in bilico tra le sfuriate graffianti dell'hard'n'heavy ed i toni piú romantici e soffusi, tipico trademark del funambolico chitarrista. Le conclusive "See You In Hell" ed "Eclipse" accentuano le influenze derivanti dal retaggio neoclassico di Malmsteen, veloci e molto tecniche, propongono scale vorticose unite all'approccio sinfonico che si affaccia in maniera preponderante nella seconda che, per la cronaca, rappresenta l'unico episodio strumentale del lavoro. Un episodio mal compreso dai piú "Eclispe" rivela, invece, spunti interessanti nello stile dello scandinavo ed alcuni cambiamenti in sede di composizione che piacevolmente sorprendono. In defintiva un lotto di belle canzoni, prodotto con eleganza ed arricchito da una professionalitá esecutiva da brividi. Riscopritelo.
 
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