In un recente sondaggio relativo alle copertine più brutte della storia del metal, quella di Trilogy si è classificata in un onorevolissimo e bronzeo terzo posto. Ai promotori di questa simpatica iniziativa, tuttavia, deve però essere sfuggita la copertina di Magnum Opus. Tralasciando il Malmsteen in versione Re Artù, che sicuramente creerà notti insonni in molti, quello che mi colpisce è l’invidiabile silohuette che lo svedese sfoggia, con tanto di vitino da vespa, soprattutto tenendo presente che Malmsteen non lo ricordo magro proprio dai tempi di Trilogy. Miracoli della fotografia digitale? Creme di Wanna Marchi? Chissà, però siccome è il discorso musicale ad interessare maggiormente gli avventori di questo sito, dobbiamo verificare se il Malmsteen – Vespa riuscirà a pungere l’ incauto ascoltatore.

I lavori precedenti, Fire & Ice e The seventh sign, si dimenavano tra alti e bassi, pur mantenendo comunque quella dignitosità che è d’ obbligo aspettarsi visto il glorioso passato. Questo Magnum Opus, invece, si presenta come una sorta di copia carbone del precedente disco, The seventh sign, riprendendone spunti, impressioni e soprattutto difetti, tanto da poter affermare che non si capisce dove finisce la copia e dove comincia il carbone. L’opener "Vengeance" mi riporta alla mente l’opener di Seventh sign, "Never die", brano di stile e nulla più, in cui lo svedese si diverte a citare gli inarrivabili Rainbow di blackmoriana memoria. "No love lost" e "The only one" (da cui sarà tratto un video), sono i classici potenziali hit da classifica, brani di puro hard rock melodico, che lo svedese piazza in ogni album, mancando però di quella classe necessaria per scalare le chat. Il disco prosegue senza sussulti con due mid tempo, "Tomorrow’ s gone" e "Vodoo", che non possono aspirare a nulla di più che riempitivi, mentre i momenti migliori sono sicuramente la strumentale "Overture 1622", brano a due voci di cui è disponibile in rete un bel video didattico e la veloce e potente "Fire in the sky", che rappresenta un po’ il Malmsteen che vorremmo sempre ascoltare: ricco di neoclassicismi ed eticità.

I restanti brani non meritano alcuna menzione, collocandosi in un ipotetico limbo tra il mediocre ed il sufficiente. E’ la mancanza di ispirazione il più grave difetto di Magnum Opus, che costringe il nostro a ripescare alcuni elementi passati ed adattarli alle nuove esigenze. Non è certo da Malmsteen che si pretende originalità, tuttavia è lecito aspettarsi una maggiore incisività e cura del prodotto finale. In definitiva, pur non facendo gridare allo scandalo, il disco rappresenta un passo indietro rispetto ai già non esaltanti due precedenti episodi. I fasti di Trilogy sembrano un lontano ricordo.

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