Siamo ormai immersi in pieno scenario anni '90, i fasti del decennio precedente sembrano decisamente lontani, nel frattempo infatti tante cose sono cambiate, dopo il gravissimo incidente del 1987 molti avrebbero scommesso sulla fine della carriera dello svedese, che, terminato il lungo e celebre tour in Russia, decide di dare un cambiamento radicale al suo futuro.
Cominciano a profilarsi mutamenti continui di line up, compresa la dipartita dei brother Johansonn e l'approccio a sonorità al limite del Glam; sarà infatti proprio "Eclipse" ad iniziare una decade all'insegna dell'incertezza e dello smarrimento artistico ed a decretare un'altra pesante rottura con il passato: la rescissione contrattuale da parte della casa discografica che aveva sempre creduto nel suo talento, la celebre Polydor. In realtà Malmsteen riuscì a reagire nel migliore dei modi ad una serie di eventi davvero sfortunati e lo fece proprio attraverso il canale più congeniale, quello musicale: già il successivo "Fire and Ice" è il segnale di una netta ripresa, di un ritrovato equilibrio e l'espressione di una verve artistica tutt' altro che tramontata, ma è certamente "The Seventh Sign" il lavoro che sia a livello compositivo, sia a livello commerciale risulta essere di maggior impatto.
Altra band, con un nuovo singer, Mike Vescera, altra ennesima casa discografica (si perchè il legame con la Electra durò ben poco tempo) ed altre sonorità. Sembra quasi un tuffo nel passato, precisamente al 1985, anno in cui uscì "Marching Out" ed in effetti le analogie sussistono, ma non in modo così evidente: in questo nuovo lavoro infatti, Yngwie vuole anche percorrere altre strade, abbracciando tonalità blues, come nel caso di "I don' t know" e "Bad Blood", o più tipicamente melodiche come in "Forever one" straordinaria ballad dedicata alla bellissima ex moglie Amberdawn (non preoccupatevi, l'ha sostituita con una non da meno!) e "Prisoner of your love", dove a tratti sembra quasi ripescare quelle riminescenze blackmoriane dei primi Alcatrazz abbinandole con quelle tipicamente classiche mutuate da J.S. Bach. Senza dimenticare brani più effervescenti e potenti come "Never Die", "Crash and Burn" e la classicheggiante "Seventh Sign", questi si riconducibili al filone epico di "Marching out" e l'introduzione di uno straordinario brano solista, dal titolo "Brother", che dimostra, per l'ennessima volta, a tutti, di non essere solo un fenomeno di tecnica, ma anche e soprattutto un vero artista nel suo strumento, capace di privilegiare la melodia alla mera velocità fine a se stessa.
Quella stessa melodia che ritroviamo anche in "Sorrow", un breve brano strumentale acustico che conclude l'album lanciando un preciso messaggio al pubblico e ad i fans: Malmsteen c'è, è tornato ed è ancora capace di emozionare davvero, con un lavoro che merita un bel 4,5 e si pone, di diritto, fra i migliori della sua carriera.
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