Alcune premesse indispensabili. Il motivo per cui ho deciso di scrivere questa recensione, che potrebbe essere la prima di una non breve serie, è la DeBaseriana carenza di articoli riguardanti i film dello studio Ghibli. Sebbene vi siano recensioni da dieci e lode su alcuni capolavori indiscussi di Miyazaki e Takahata, altre opere grandi e piccine non hanno ancora ricevuto l'attenzione che meritano.

Ma non aspettatevi niente da quello che scriverò: la mia intenzione non è quella di rendere finalmente giustizia a questi gioielli dell'animazione giapponese con recensioni degne di tale nome, ma di invogliare persone più competenti a fare meglio di me, cosicché questo insopportabile vuoto sia finalmente colmato.

Dopo questa sfacciata dichiarazione di umiltà sarebbe ridicolo affrontare un'opera della portata de "La città incantata" o di "Omohide Poro Poro". E' per questo che ho scelto di cominciare da una cosiddetta "opera minore" (e anche perché l'ho appena vista e preferisco condividere le mie impressioni a caldo). Ma ho già parlato abbastanza di me, è ora di dare spazio all'opera.

Innanzitutto alcuni dati tecnici. "Mimi o sumaseba" ("Se tendi l'orecchio") è un film del 1995 diretto da Yoshifumi Kondo, sceneggiato da Hayao Miyazaki e prodotto, ovviamente, dallo Studio Ghibli. Si colloca cronologicamente tra Pom Poko di Takahata e il monumentale Monoke Hime di Miyazaki. Come è noto, questi due signori sono i fondatori dello Studio e autori di quasi tutti i film Ghibli. E' allora automatico che l'anime di Kondo passi per opera minore. Ma lo è davvero? No, nel modo più assoluto. A mio avviso "Whispers of the Heart" (questo il titolo internazionale) merita di stare nell'Olimpo Ghibli assieme ai suoi cosiddetti fratelli maggiori. Non ha nulla da invidiare a uno "Spirited Away" o a un "Nausicaa". Affermazione importante, che va giustificata.

Sarà allora necessario spendere due parole su Yoshifumi Kondo. Non solo ha lavorato a molte opere dello Studio, e anche ad alcune produzioni pre-Ghibli, ma era il successore designato di Miyazaki e Takahata, e probabilmente oggi sarebbe all'apice della sua carriera se non fosse stato stroncato da un aneurisma nel 1998, quarantasettenne e a soli tre anni dall'uscita del suo unico film da regista, "Whispers" appunto. Per comprendere il profondo legame di Kondo con Miyazaki e Takahata (in particolare con il secondo), vi consiglio di leggere le parole che i due maestri hanno scritto in occasione della sua scomparsa. Lo commemorano come uomo e artista, ma anche come fonte di ispirazione, quasi come se fosse uno dei loro fantastici personaggi che per magia si fosse staccato dalla carta per trascorrere una breve esistenza nel nostro mondo, e scomparire prematuramente come un tratto di matita troppo sottile. Allora anche solo il fatto che quest'opera esista è di per sé un miracolo. E finalmente è giunto il momento di addentrarci in questo capolavoro.

La trama è semplice: tutto ruota attorno alla piccola protagonista, Shizuku Tsukishima, studentessa di quattordici anni che conduce una normale vita a Tokyo. Ci viene subito mostrata la sua passione quasi maniacale per i romanzi, dovuta in parte al fatto che il padre lavora nella biblioteca locale. Ed è proprio dal noleggio di libri che scaturisce la scintilla che dà il via a tutta la trama e che ne guida lo sviluppo (assieme ad un successivo, provvidenziale incontro con un gatto randagio). Shizuku, infatti, consultando le tessere dei prestiti inserite nei libri della biblioteca, si accorge che un certo Seiji Amasawa la precede pressoché in ogni lettura. Questa scoperta, sebbene avrà conseguenze importantissime nella vicenda del film e nella vita della protagonista, è in parte un pretesto narrativo per raccontare tutta una serie di cambiamenti che sconvolgeranno il piccolo mondo di Shizuku. Nel corso del film incontrerà nuovi amici, mentre alcuni rapporti preesistenti si complicheranno. Sarà costretta ad interrogarsi sul proprio futuro e sulle proprie capacità, mettendosi alla prova con un atteggiamento di prematura responsabilità. Affronterà il primo amore, e sarà tutt'altro che facile, perché sarà proprio l'amore, più di ogni altra cosa, a mettere in dubbio tutto quello che sa sulla vita e soprattutto su se stessa. "I sospiri del mio cuore" è proprio questo: il racconto di una crescita interiore travagliata ma piena di speranza, e di un amore che non si adagia sugli allori ma è una spinta al miglioramento. Shizuku non affronta mostri colossali come Nausicaa, né combatte contro un intero villaggio come la principessa Mononoke, ma è sicuramente un'eroina. E' Kiki calata in un contesto più realistico, e forse dotata di maggiore introspezione. Eppure lo spazio dato alla fantasia non è da meno, sebbene sia tutto frutto dell'immaginazione della protagonista, molto più palesemente che in Totoro. Un'immaginazione che ci regalerà degli scorci di un mondo fantastico (reso grazie agli sfondi del pittore Naohisa Inoue), ma solo al momento opportuno e sempre con il contagocce, come conviene alle cose veramente preziose. Questo film ha inoltre l'indiscutibile pregio di chiarire una volta per tutte l'importanza della figura del bambino nell'universo Ghibli, lodandone non delle indefinite qualità che sarebbero negate ai non più innocenti adulti, ma il potenziale creativo dall'esito "impetuoso, schietto e imperfetto" come una "gemma grezza appena estratta". Visione comune, a mio avviso, a tutte le opere Ghibli, ma che qui, meno che altrove, rischia di essere fraintesa. 

Si potrebbe dire molto di più sulla trama, ma ritengo che questo film necessiti di essere scoperto in prima persona. E lo stesso vale per i personaggi, di cui ho detto poco o niente. Vi basti sapere che anche gli adulti, e in particolar modo gli anziani, hanno grande rilievo.

Tutti i pregi di cui ho parlato finora sembrano essere dovuti unicamente alla sceneggiatura di Hayao Miyazaki, che infatti riveste un ruolo di primaria importanza, ma non basta a "fare" il film. Sebbene io non abbia le competenze per giudicare oggettivamente la qualità tecnica di un film di animazione, mi sento tuttavia di affermare che la regia di Kondo ha realizzato ciò che la sceneggiatura del maestro da sola non poteva fare. Mi ha fatto vivere in prima persona ciò che, fingendo di parlare della trama, ho comunicato a voi, e molto di più. Non solo: l'ha fatto così bene da farmi dimenticare la mia esistenza per un'ora e cinquanta, portandomi a vivere una vita che non è la mia e, infine, restituendomi alla realtà notevolmente cambiato. Per la durata del film io sono stato Shizuku, nonostante le differenze di età, sesso, nazionalità e carattere, e sono diventato grande un'altra volta. E pensare che c'è ancora chi pensa che chi guarda i film di animazione si rifiuti di crescere rifugiandosi nell'infanzia. Non è forse nell'infanzia che si cresce maggiormente?

Prima di tirare le somme c'è ancora qualche particolare che merita di essere tirato in ballo. 

La musica, ad esempio, curata da Yuuji Nomi. Ci sarebbe molto da dire, sia sulla colonna sonora sia sul ruolo della musica nel film, ma ciò che resta più impresso è sicuramente l'utilizzo massiccio di "Country Roads", la canzone di John Denver. Apre e chiude il film, sebbene in due versioni molto diverse, e la ritroviamo cantata e suonata dai protagonisti in diverse occasioni, e anche in una delle scene più belle del film (quella dell'orchestrina improvvisata). Chissà quante volte l'avrò sentita di sfuggita, ad esempio alla radio, eppure non era mai entrata nella mia memoria musicale, nemmeno di striscio. Ebbene, a una settimana dalla visione de "I sospiri del mio cuore" la sto ancora canticchiando. Ma a pensarci bene non è solo la riproposizione continua del tema ad averlo impresso a tal punto nella mia memoria. Se inizialmente la canzone country può sembrare un po' buttata lì, proseguendo nella visione del film ci rendiamo conto di quanto sia importante sia a livello di trama sia per i temi trattati. Mi piacerebbe davvero sapere cosa pensa John Denver al riguardo.

Inoltre bisogna almeno citare il manga da cui è tratta la sceneggiatura, "Sussurri del Cuore" di Aoi Hiiragi, e un altro film dello studio Ghibli "The Cat Returns", del 2002 per la regia di Hiroyuki Morita, che dovrebbe essere il seguito ideale de "I sospiri del mio cuore", ma che purtroppo ancora non ho visto.

Per concludere, "Mimi o sumaseba" è un capolavoro dell'animazione giapponese, uno dei tanti gioielli dello Studio Ghibli e, a mio avviso, uno dei più preziosi. Sebbene di genere sentimentale, può essere apprezzato da qualunque tipo di pubblico, indipendentemente dal sesso e dall'età, a patto di essere capaci di lasciarsi conquistare da un'arte fanciullesca ma non infantile e da una trama semplice ma non banale. Se vi affiderete alla penna di Miyazaki e alla matita di Kondo e abbandonerete ogni pregiudizio, forse resterete colpiti come lo sono stato io, se non di più.

Alcune considerazioni finali. Potreste sentirvi ingannati. Ho dichiarato di voler recensire questo film perché non osavo ancora affrontare i grandi capolavori, e poi l'ho descritto come se lo fosse. Una cosa è certa: questo film è un capolavoro.

Potreste anche dire che non sono stato abbastanza oggettivo, e avreste ragione. Ma come si può essere oggettivi quando ci si innamora di un'opera d'arte? 

E infine potreste dire che ho parlato troppo di me. E' vero, ma questa è la mia prima recensione e mi sembrava di dovermi in qualche modo presentare. In futuro lascerò parlare di più le opere. 

Spero che la recensione vi sia piaciuta e mi scuso per eventuali errori e per bizzarrie nella punteggiatura, per la lunghezza esagerata e per il mio magico potere di scrivere tanto dicendo poco.

(Nota: le frasi citate nel quarto paragrafo sono pronunciate nel film, nella versione italiana, da Shiro Nishi, l'anziano proprietario del negozio d'antiquariato).

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