Sei lunghe e difficoltose annate passano fra il nono e questo decimo lavoro in studio dei 38 Special, datato 1997. La copertina è esplicativa a riguardo: quattro soli sono i superstiti del sestetto che si riuniscono, ovviamente sotto l’egida di una etichetta discografica minore dato che il grosso business musicale si è rivolto altrove, per dare vita a una dozzina abbondante di nuove canzoni.

A sinistra ostenta i suoi mustacchi il bassista storico Larry Junstrom. Lui c’è sempre stato, sin dal primo album del 1977, dopo che anni addietro aveva fatto parte della prima formazione dei Lynyrd Skynyrd, uscendo però da quel gruppo prima del loro epocale album di esordio, ma lasciando comunque traccia di sé nelle raccolte delle prime registrazioni pubblicate successivamente.

Accanto a lui, a gambe incrociate, il redivivo chitarrista cantante e compositore Don Barnes, allontanatosi dal gruppo per un paio di dischi ed ora, visto fallito il suo tentativo di carriera solista, tornato all’ovile. E il povero Max Carl, che aveva preso il suo posto e le sue mansioni? A casa… anni dopo entrerà nei Grand Funk Railroad (!), a sostituire Mark Farner cacciato via perché troppo fanatico religioso… incredibile! Credo che tuttora stia con loro, a portare in giro per gli USA il repertorio anni ’70 delle leggende di Flint, Michigan.

Il biondo col cappello ed il look alla Zucchero è Donnie Van Zant: lontane origini olandesi, il tosto e magnetico fratello maggiore morto dieci anni prima in modo assurdo: il pilota dell’aereo che portava i suoi Lynyrd Skynyrd a un concerto s’era dimenticato di fare rifornimento di carburante! L’atterraggio di fortuna in aperta campagna andò malissimo. Gli resta l’altro fratello, più giovane, impegnato a cantare da oramai quasi quarant’anni a questa parte nei rifondati Lynyrd.

L’ultimo a destra è un altro chitarrista che si chiama Danny Chauncey e sta nella band solo da qualche anno, prima in sostituzione di Barnes ed ora di Jeff Carlisi, appena andatosene lasciando un buco incolmabile. E il batterista? Ve ne sono un paio a cottimo, esterni al consorzio 38 Special, uno che ha suonato nel disco ed un altro ad accompagnarli in concerto.

Il disco è discreto ma non brilla, paragonato ai loro migliori. Se non altro, se ne sono andate le tastiere elettroniche e i suoni stoppacciosi degli anni ottanta, è tutto uno sfoggio di bassi batterie e chitarre. Ma mancano le intuizioni veramente riuscite, i pezzi trainanti, la spinta verace di una band in salute e non al crepuscolo.

Il numero migliore mi risulta essere la seconda traccia “Just Can’t Leave You Alone”, epperò perché il fecondo riff stoppato viene eseguito con l’acustica invece che con l’elettrica? Comunque begli accordi, bella melodia… Don Barnes al suo meglio, più il sensuale lavoro di Chauncey alla slide. Ma è un’eccezione, molti brani sono sostanzialmente anonimi e senza spunti di rilievo.

Menzioni in ogni caso per i bei suoni saturi delle chitarre in “Find My Way Back”, per la raccolta atmosfera country folk in “Changed by Love” (veramente un sacco di chitarre acustiche in questo disco, dopo che erano state decisamente centellinate in tutti i nove lavori precedenti), l’acceso boogie pieno di stop&go di “She Loves to Talk”.

E’ il disco più “tranquillo” di carriera, per discreta parte semiacustico e introspettivo. Il limite ispirativo di Don Barnes, tornato nei ranghi e subito di nuovo dominante, è sempre quello: compone grandi strofe che poi si banalizzano nei ritornelli. La band riesce a ritrovare smalto a livello sonoro e mostra ancora tutta la sua classe (grandi suoni, e produzione!), ma i pregiati album pieni di riff epocali e assoli mirabili sono ormai lontani.

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