Sono a casa mia, seduto al tavolo e ascolto questo disco appena arrivato in vinile. Dopo i primi due pezzi mi sale un brivido: ok, il disco è lo-fi ma non me lo ricordavo così sporco. Guardo la puntina ed è piena di polvere, la pulisco, ricomincio.

Sono a casa mia, seduto al tavolo e ascolto questo disco.

Osservo dalla finestra la pianura Veneta dal color buio-notte, mi concentro sulle luci, di pochi colori, che puntellano la visuale. Guardo il campanile illuminato che appare dietro la collina a sinistra del bosco. Anticamente querceto ed ora una più banale ed infestante bosco di cassie.

*una chiamata.

Sono a casa mia, seduto al tavolo e penso che questa band si sia inebriata di fumi lisergici tra le sconfinate distese statunitensi, e non in prossimità della foresta di Sherwood, e non in prossimità di Major Oak. Anche lì, pure lì, querce.

55 Deltic. Sbuffa. Rallenta e ci si dimentica.

Lo slowcore inglese è intriso di sogni infranti e di emo dalla nitidezza vacua, post-rock giurerei. Tanto i Codeine quanto gli American Football, ma anche Seam, Duster, Bedhead e pure Chesterfield dei Bluetile Lounge è vicinissima.

Lo slowcore appare facile eppure diventa un canyon inattraversabile, un monumento monolitico e oscuro dove vi è racchiusa l'emozione e la natura umana. Lo slowcore è spazio e non tempo, non musica, dove immergersi e perdersi tra i silenzi e i muri di frequenze, già svaniti.

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