3 x 4 = 12, e fino a qui ci sono, nel caso si tratta di matematica applicata alla musica.

Ricordo ancora che, quando un malcapitato tentò invano di insegnarmi le tradizionali basi della teoria musicale, le note sul pentagramma e tutte quelle altre nozioni astruse, questa storia della matematica e dei suoi rapporti colla musica pareva che fosse qualcosa di importante, però molto poco divertente, almeno per me, e così la chitarra ho imparato a suonarla per conto mio.

Forse sarà perché le cose bisogna pure saperle insegnare e se le sai insegnare lo fai sempre in modo naturale e divertente, per quanto scocciante possa essere l'oggetto dell'insegnamento.

Ora, a occhio e croce, direi che gli artefici del dischetto qui presente sarebbero stati dei bravi insegnanti.

Allora, in ordine di apparizione ci sono i Three O' Clock, le Bangles, i Dream Syndicate e i Rain Parade che provano a spiegare oggi cosa fu il Paisley Underground circa quarant'anni fa, ognuno rifacendo a modo suo alcuni brani altrui: per dire, i Three O'Clock rifanno «Getting out of Hand» delle Bangles che rifanno «That's What You Always Say» dei Dream Syndicate che rifanno «You Are My Friend» dei Rain Parade che chiudono il cerchio e rifanno «As Real As Real» dei Three O'Clock; e poi il cerchio si riapre altre due volte, fino ad arrivare alle fatidiche dodici canzoni, dodici reciproci omaggi tra reduci gloriosi di una stagione impossibile da scordare.

Detto che i “reduci” sono in splendida forma, ognuno fa il suo, con convinzione e trasporto, come a dire questo «3 x 4» non è un'inutile e un po' patetica rimpatriata, come ce ne sono tante, e neppure una “operazione nostalgia” fine a sé stessa: dentro questi solchi di nostalgia ce ne sta ben poca, ci sono invece quattro gruppi che facevano grandissima musica nei primi anni '80 e che ancora oggi, anche se in altre faccende affaccendati, quando riprendono in mano i loro strumenti mettono bene in chiaro cosa significhi fare musica destinata a durare negli anni; per cui le “next big thing” si mettano un momento da parte, ché gli originali sono tornati, foss'anche per un solo giro di chitarre.

Ognuno fa il suo, qualcuno fa pure di più, tipo le Bangles ad un livello stratosferico alle prese con «That's What You Always Say», tra le mie preferite dei Dream Syndicate, in origine tutta nervi e scarnificata all'osso, qui trasformata in qualcosa che è tutt'altro ma altrettanto splendida, meno nervi e più polpa ed i cori armoniosi ed i sottofondi vocali di queste ex ragazze magnificamente cresciute; più o meno lo stesso trattamento riservato a «Talking in My Sleep» dei Rain Parade, che vola alta, alta, come le mongolfiere sulla copertina del loro primo album; fino all'apoteosi di «Jet Fighter» che all'epoca, non l'avessero scritta i Three O'Clock, non vedo chi altro avrebbe potuto farlo se non le Bangles, gioiosa frenesia al limite dello yéyé.

E che dire dei Dream Syndicate e di come rendono «Hero Takes a Fall»?

E dei Three O'Clock alle prese coi Rain Parade?

E dei Rain Parade alle prese coi brani degli altri tre?

Io mi fermo qui, sperando che ognuno che legge abbia voglia di scoprire tutto il resto da solo.

Per chi c'era ai tempi che furono, disco da avere ed esporre in bella mostra al fianco di «Rainy Day», anche solo per incenerire in amicizia il primo che si azzarda a dire che i giorni del vino e delle rose sono finiti.

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