Dan O’Bannon era rimasto davvero scottato dall’insuccesso (francamente prevedibilissimo) del celeberrimo Dark Star. Voglio farne una versione seria! In Dark Star ho parodiato A Space Odissey, ed è venuto una merda… Ora voglio raccontare la storia di una vera astronave con un vero alieno, qualcosa che faccia paura, deve aver detto (più o meno…) all’amico Ronald Sushett. E allora la storia diventa quella di un cargo planetario, una petroliera spaziale come quelle degli anni d’oro della Exxon, enorme e con un equipaggio minimo, che in qualche modo viene infettata da un organismo indefinibile e inarrestabile. L’alieno lo facciamo salire a bordo con un colpo di genio epocale: uno stupro in piena regola, e lo facciamo germinare e sbucare dal corpo di un membro dell’equipaggio. Pensa che scena, roba mai vista!

Sì ma sai che c’è Rory? Io qualche mese fa ero a Parigi con quel pazzo di Jodorowsky che cercava di fare il suo Dune... Lasciamo perdere com’è andata a finire, mentre ero là ho incontrato uno svizzero che ci stava sotto con l’oppio ma oh, creava incubi tecno-organici da urlo, per non parlare di Moebius e delle sue pazzesche tute Fremen, e di Chris Foss con le sue astronavi… E Ron Cobb? Diavolo, fa delle illustrazioni di fantascienza incredibili, e il suo ornitoptero sembrava un progetto reale! Dobbiamo farci dare una mano da questa gente!

Perché i due hanno capito fin da subito un aspetto fondamentale: questo film rischia di diventare una paccottiglia da quattro soldi se non gli diamo uno spessore visuale mai visto prima. Approcciò che pagò, e con interessi sontuosi.

Memory diventa Star Beast, Star Beast diventa Alien; Roger Corman sembra uno che ha tante buone intenzioni e tante belle parole, ma i soldi, ce li mette i soldi? La Brandywine di Walter Hill, David Giler e Gordon Carroll, che ancora oggi si tiene stretto l’intero franchise tra i suoi alti e bassi, sembra molto affidabile, sta addentro con la 20th Century Fox… Ma i tre soci rimettono mano pesantemente allo script, e fanno bene: gente concreta, esperta di film d’azione old school, con idee più commerciali ma almeno una trovata che sarà il secondo grosso pilastro di tutta la saga oltre all’alieno… I tre trovano anche il regista, un inglese che li ha colpiti per la cura dei dettagli che dimostrato nel suo debutto, che a onor del vero non ci azzecca nulla con la fantascienza. Ma… non troviamo chi distribuisce, questa storia sembra non interessare nessuno!

Sembra tutto fermo quando Star Wars sconquassa il mondo e fa dire a quelli della Fox (più o meno): “Ascolta, qua coi film delle astronavi si fanno i $oldi! Vedi un po’ che pure la Disney si mette a parlare di buchi neri, noi che abbiamo per le mani? Alien? Che roba è? C’è l’astronave? 4 milioni! No aspetta, guarda che ci lavora gente con le palle, mi ha telefonato Lucas, c’è pure Roger Christian mi ha detto, e guarda che storyboard fa sto milord inglese… 8 milioni, luce verde!”

Si gira a Londra, agli Shepperton, perché le maestranze inglesi hanno un approccio agli effetti pratici e alle scenografie che levati… Una serie di laboratori e di menti che tra plastilina, ghiaia, lattice, glicerina, sassi veri e finti e rottami crea tre mondi diversi, tutti e tre profondi come lo spazio: il vascello alieno, il planetoide deserto e la labirintica Nostromo. Tra la puzza di vernice e di colla per balsa, il sangue di pecora per la scena del chestburster e le ostriche che compongono il facehugger si aggira Giger, tutto nero, che porta la madre sul set e le cucina il brodo di pollo; Moebius fa una comparsata di dieci giorni, rielabora le tute Fremen e affida le sue visioni a John Mollo; che bello quello stile "trapuntato": usiamolo come pattern per gli interni... Quello è Roger Christian; ha comprato due carcasse di bombardieri BAC Canberra, le ha smontate e ti ha creato corridoi di astronave realistici come non mai. Per favore dite a Cobb di non mettere troppi dettagli nei progetti della Nostromo, perché il signor Scott e il produttore Sushett ne vanno entusiasti, ma per noi delle scenografie è un incubo! E dite pure a Scott che agli effetti speciali ci pensiamo noi dei Bray Studios, perché non è che lui può venire qua a prendere a martellate le NOSTRE props e filmare LUI i modellini… E intanto quei tre maledetti della Brandywine han tirato fuori dal cilindro un subplot che a O’Bannon sta sul cazzo, ma è geniale e si incastra alla perfezione nel film: l’intelligenza artificiale!

Alien è tutto questo ma anche di più; un incubo industriale, antropomorfo, urbano (c’è tantissimo di urbano sulla Nostromo, anche se sono solo dei balenii inseriti come messaggi subliminali…), organico, materno. Rimane uno dei film più carnali che possiate immaginare, un trionfo di metamorfosi, di perfezionamento dell’uomo, di fusione tra tessuti. Racconta di uno spazio silenzioso solcato come l’Oceano che dispiega improvvisamente, come il brusco risveglio da una morte criogenica, l’ignoto orrore. Un orrore seducente, fatto di morbide curve dei bianchi corridoi baluginanti di led, di vagine enormi, peni ciechi coi denti che eiaculano vaselina (Rambaldi ha fatto un’opera d’arte ragazzi…), forme sensuali fatte con ossa di mucca, .. Ma che cazzo si fuma Giger?? Taci, i suoi lavori sono sublimi, anche se le creazioni più iconiche sono state rielaborate non poco da Scott (xenomorfo adulto), O’Bannon (facehugger) e da uno degli attori, Skerrit, che ha consigliato di levare le manine e dimagrire il chestbuster… Tutti mettono del loro. Visto l’andazzo folle, perché non immaginiamo la sessualità di un androide, i suoi desideri carnali, la sua idea di penetrazione, la sua invidia empirica e poetica per la purezza della carne rappresentata da un essere “non offuscato da illusioni di moralità”?

Allunghiamo il finale con il confronto diretto tra l’orrore asessuato e la madre di tutte le eroine spaziali, la donna che trionfa dove tutti hanno fallito, che annienta la città volante e tutto ciò che rimane al suo interno e lancia nello spazio il frutto morboso di un’unione proibita e violenta.

Non c’è Lovecraft in Alien, come qualche autore ha maldestramente suggerito e qualche intellettualoide di provincia sostiene. C’è forma, carne, trionfo dell’uomo, grandezza e miseria dell’intelligenza artificiale, potenza dell tecnologia, c’è uno spazio solcato come il mare che però dietro l’angolo ti presenta il conto di tutti i suoi misteri; c’è la donna, e quindi, per chi conosce veramente HPL, non ci potrebbe essere film più lontano da Egli.

C’è un modo perduto, e che a me manca tanto, di fare cinema. Perché sembra che tra il il ’75 e il ’78, attorno alla sciatta idea di un alieno in un’astronave, si siano formati dei gangli pulsanti fatti di idee folli, pazzi visionari, suggestioni sessuali, improbabili per quanto astruse connessioni storiche; i laser che illuminano il ventre del ferro di cavallo alieno sono quelli che avevano usato i Genesis per il loro tour del ’77, e che ora servono agli Who… Ma dove la trovate più una fucina che forgia un microcosmo simile?

Alien è un film che per me significa molto, che per mia fortuna ha segnato la mia vita accademica e parte di quella professionale (ormai sono tutti ricordi…), e che per me è imprescindibile. Che non va semplicemente visto, guardato o apprezzato; va vissuto, va osservato, va temuto.. Paura di quella buona eh, che fa bene, non preoccupatevi…

Carico i commenti... con calma