Il Medioevo percepito, il Medioevo sperimentato, il Medioevo raccontato: ci sono diversi modi di calarsi in una realtà lontana cronologicamente alla nostra ed ogni epoca ha fatto sua una particolare impostazione di analisi; il Romanticismo ne ha celebrato il lato tenebroso e favolistica mentre Ingmar Bergman ne ha illuminato le contraddizioni, inscenando la purezza ancestrale di un eroe d'altri temi sullo sfondo di un mondo devastato dall'irrazionalità e dalla paura. Se già la storiografia rimane fluttuante tra l'oggettività dello scopo e la soggettività dello storico, quale chiarezza dovremmo aspettarci dall'opera d'arte, che per sua natura è pura individualità mediata dal contesto sociale?
La risposta ci viene data dalle rappresentazioni musicali del Medioevo, via privilegiata perché non mediata dal verbo: tra la poesia giullaresca di Gae Bolg and The Church of Fand e le esperienze fanciullesche e visionarie del progressive inglese si inseriscono a pieno titolo anche gli austriaci Abigor, fautori di un black metal dalle forti tinte medievali.
Sia chiaro fin da subito che questo non è né un disco alla portata di tutti, né un disco che gli stessi fan del black ameranno senza alcun dubbio: per cui ogni invito all'ascolto lascia il tempo che trova, e capirete benissimo da voi se varrà la pena o no di darci un ascolto già dalla recensione che state leggendo (tutto ciò per contrastare la moda che sta nascendo nel sito secondo la quale TUTTI al mondo dovrebbero darsi all'ascolto del metal estremo come vera fonte di conoscenza...).
Già in campo black metal non è mancato chi ha sperimentato suggestioni o elaborato leggende medievali: si pensi ai dischi acustici che imperversano da qualche lustro, pregni del misticismo medievale, o a tutti i concept che attingono da questo periodo (direi che "Bergtatt" degli Ulver riassume entrambe le categorie). Gli Abigor, bisogna dirlo, rimangono fermi al lato più istintivo e passionale del comporre testi e musica: cercare di spiegare le raffinate leggende emiliane di Fearbringer o i delicati intrecci esoterici degli Spite Estreme Wing agli Abigor sarebbe vano quanto far capire la metafisica aristotelica ad un bue.
Angoscia, rabbia e disperazione sono le uniche coordinate intorno alle quali ruota l'universo concettuale del gruppo; niente di particolarmente innovativo se non stessimo parlando di un gruppo che è riuscito a fondere in modo convincente la musica estrema con quello spirito deviante e folle dei Secoli Bui. Urla disumane, partiture convulse e Thrash malsano si fondono ad eterei madrigali, a sognanti ballate, ad ovattate chitarre acustiche: come detto ogni barlume di raffinatezza è inequivocabilmente assente da queste mirabili pagine, ma l'atmosfera di geniale ossimoro è già presente in questo primo LP, e sarà il marchio indelebile di una carriera breve ma significativa.
Materia medievale e rozzo black metal si compenetrano quindi in maniera più che azzeccata; le coordinate geografiche mantengono saldamente il gruppo in campo Thrash/Black: da queste parti d'Europa la formula norvegese arriva con estremo ritardo, o viene ignorata di proposito, rimanendo agli stilemi dei magiari Tormentor di Attila Csihar o ancora a quelli degli svedesi Bathory. È normale che durante l'ascolto siano questi i nomi a venire in mente, accostando il disco ad una prova "minore" (artisticamente più che storicamente) come "Deathcrush" dei Mayhem. Ma l'energia che trabocca da pezzi come "Kingdom Of Darkness" (con un "Dies Irae" introduttivo da paura) è unica, coinvolgente e decadente al tempo stesso: sa di battaglie epiche finite in tragedia, di conversioni forzate, di lamenti da torri di prigionia.
Nel mondo degli Abigor non c'è castello che non stia perdendo inesorabilmente le sue possenti mura, non c'è villaggio che manchi di storpi, non c'è via senza flagellanti e preti inferociti: l'esistenza in questo mondo è talmente intollerabile che l'ultima arma che rimane all'uomo è la sua voce; da questo si ricava l'assoluta priorità affidata alle urla belluine, al cantato isterico, al dimenarsi, al contorcersi. Gli Abigor canteranno più avanti anche le gioie e le imprese della Terra Di Mezzo, nei dischi targati Summoning, ma qui non rimane neanche un bagliore di speranza: il Medioevo di cui ci parlano è qui, è oggi, senza redenzioni, senza liberatoria Apocalisse, continuo, inesorabile, perenne, con televisioni al posto di giullari, stermini via cavo al posto di poemi epici, preti pedofili al posto di ....preti pedofili.
Quasi quasi farei cambio...
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