"Ormai l'abbiamo capito che da sto Danny ci si può aspettare di tutto e di più, ma sto gioiellino del mitico Pappalardo arriva proprio come un fulmine a ciel sereno, che recensore pieno di risorse e di sorprese, corpo di mille balene!" Ebbene si, dopo aver gridaaaaaato, dopo essersi sfogaaaaaaato, tra l'altro accompagnandosi con coretti fru-fru ai limiti del sublime, c'è stato un periodo in cui il Pappa ha fatto veramente sul serio. Che questo rude omaccione sia stato una succursale di Lucio Battisti penso che qua dentro sia cosa nota e risaputa e, forse proprio sull'onda di quel mitico tormentone, quest'ultimo decide di ricominciaaaaaare ad investire sul travolgente performer salentino, utilizzandolo un po' come cavia da laboratorio per i nuovi suoni che stava sperimentando. "Oh! Era Ora", con testi di Pasquale Panella, è diventato un cult per appassionati, il fatto che sia già da tempo sbarcato su questi lidi ne è una dimostrazione, ma prima di quel disco, precisamente nel 1982, c'è il primo frutto della rinnovata partenship Battisti-Pappalardo, ovvero "Immersione". Rispetto al successore questo è rimasto ancora più nell'ombra, veramente un peccato, senza nulla togliere ai funambolismi linguistici di "Oh! Era Ora" questo lo trovo preferibile, più "vero"; chissà, forse anche perchè qui Adrianone è un po' più protagonista.
La sua passione per le immersioni subaquee (non dev'essere facile trovare mute da sub su misura per il suo collo taurino) e per il mare in generale è cosa nota e risaputa, una passione così forte da ispirare un album intero, un concept album, "Immersione" per l'appunto. E poi Lucio non l'ha presa sottogamba, per nulla, non ha badato a spese ingaggiando solo musicisti britannici, Greg Walsh su tutti, alla ricerca di un deteminato tipo di sound. Eh beh, si sente, il risultato finale è qualcosa di avventuroso, accattivante, raffinato, una vera rivelazione. La prospettiva di un album intero con la voce di Pappalardo potrebbe sembrare un po' inquietante, ma anche sotto questo punto di vista fila tutto liscio, anzi, ottimamente: il nostro simpatico energumeno è un interprete efficace e comunicativo, soprattutto quando si mantiene su toni medio-bassi e, personalmente, lo trovo assai più piacevole e digeribile di un Dave Gahan, tanto per fare il nome di una superstars che piace a tanti (ma a me rimane sullo stomaco), bella lì Adrià!
Synth pop pieno di contaminazioni, magniloquente e visionario, di impronta prettamente internazionale, questo è lo stile di "Immersione", declinato in varie e sempre affascinanti sfumature. Abbiamo ritmiche funky , molto decise e ben scandite in "Guidami" e nell'iniziale titletrack, che si apre in un refrain magistrale, di grandissima atmosfera, synths quasi futuristici che contaminano le sonorità reggae di "Risalendo la sagola" e dominano in una "Giallo uguale Sole" dall'andamento squisitamente ballabile, pezzo all'ultimo grido per quegli anni e perfetto ancora oggi. "Dimensioni" inganna con un inizio semiacustico e soave, ci si aspetta una languida ballad, barriere coralline e calma piatta, poi irrompe una chitarra hard-rock che sembra sbucata direttamente da "Machine Head" dei Deep Purple, tutto si movimenta, l'atmosfera si fa ancora più surrealmente visionaria, trovando un approdo con l'energia e i ritmi incalzanti di "Il canto delle sirene", brillante ed incisiva.
"Dolci ricordi", una parentesi malinconica, le reminescenze d'infanzia di "Cheope", che riprende ancora i ritmi della Jamaica, questa volta in una veste un po' più scarna e riflessiva, e soprattutto "Due nel blu", un midtempo pezzo affascinante, languido, con un testo ancora più visionario degli altri ed una performance canora da applausi invece rappresentano l'anima più compassata e riflessiva dell'album, un piccolo capolavoro che avrebbe meritato tutt'altra fortuna. Sound variegato e multidimensionale, una cura dei dettagli impressionante, ottimi testi; grandissimo Battisti, ma diamo anche a Pappalardo ciò che è di Pappalardo, perchè la voce (ottima) e la passione sono tutta roba sua, e si tratta di elementi che fanno la differenza. Un disco dell'estate veramente da leccarsi i baffi, inaspettato e mei banale. Sorprendetevi! Dopo quel biennio 82-83 vabbè è andata come è andata, l'immagine era quello che era, la testa pure, e allora that's all folks; mi rimane però un interrogativo: cosa sarebbe potuto essere di uno come lui se a scoprirlo non fosse stato Lucio Battisti ma, ad esempio, Gene Simmons? A voi la sentenza e, magari, anche l'ascolto.
La sua passione per le immersioni subaquee (non dev'essere facile trovare mute da sub su misura per il suo collo taurino) e per il mare in generale è cosa nota e risaputa, una passione così forte da ispirare un album intero, un concept album, "Immersione" per l'appunto. E poi Lucio non l'ha presa sottogamba, per nulla, non ha badato a spese ingaggiando solo musicisti britannici, Greg Walsh su tutti, alla ricerca di un deteminato tipo di sound. Eh beh, si sente, il risultato finale è qualcosa di avventuroso, accattivante, raffinato, una vera rivelazione. La prospettiva di un album intero con la voce di Pappalardo potrebbe sembrare un po' inquietante, ma anche sotto questo punto di vista fila tutto liscio, anzi, ottimamente: il nostro simpatico energumeno è un interprete efficace e comunicativo, soprattutto quando si mantiene su toni medio-bassi e, personalmente, lo trovo assai più piacevole e digeribile di un Dave Gahan, tanto per fare il nome di una superstars che piace a tanti (ma a me rimane sullo stomaco), bella lì Adrià!
Synth pop pieno di contaminazioni, magniloquente e visionario, di impronta prettamente internazionale, questo è lo stile di "Immersione", declinato in varie e sempre affascinanti sfumature. Abbiamo ritmiche funky , molto decise e ben scandite in "Guidami" e nell'iniziale titletrack, che si apre in un refrain magistrale, di grandissima atmosfera, synths quasi futuristici che contaminano le sonorità reggae di "Risalendo la sagola" e dominano in una "Giallo uguale Sole" dall'andamento squisitamente ballabile, pezzo all'ultimo grido per quegli anni e perfetto ancora oggi. "Dimensioni" inganna con un inizio semiacustico e soave, ci si aspetta una languida ballad, barriere coralline e calma piatta, poi irrompe una chitarra hard-rock che sembra sbucata direttamente da "Machine Head" dei Deep Purple, tutto si movimenta, l'atmosfera si fa ancora più surrealmente visionaria, trovando un approdo con l'energia e i ritmi incalzanti di "Il canto delle sirene", brillante ed incisiva.
"Dolci ricordi", una parentesi malinconica, le reminescenze d'infanzia di "Cheope", che riprende ancora i ritmi della Jamaica, questa volta in una veste un po' più scarna e riflessiva, e soprattutto "Due nel blu", un midtempo pezzo affascinante, languido, con un testo ancora più visionario degli altri ed una performance canora da applausi invece rappresentano l'anima più compassata e riflessiva dell'album, un piccolo capolavoro che avrebbe meritato tutt'altra fortuna. Sound variegato e multidimensionale, una cura dei dettagli impressionante, ottimi testi; grandissimo Battisti, ma diamo anche a Pappalardo ciò che è di Pappalardo, perchè la voce (ottima) e la passione sono tutta roba sua, e si tratta di elementi che fanno la differenza. Un disco dell'estate veramente da leccarsi i baffi, inaspettato e mei banale. Sorprendetevi! Dopo quel biennio 82-83 vabbè è andata come è andata, l'immagine era quello che era, la testa pure, e allora that's all folks; mi rimane però un interrogativo: cosa sarebbe potuto essere di uno come lui se a scoprirlo non fosse stato Lucio Battisti ma, ad esempio, Gene Simmons? A voi la sentenza e, magari, anche l'ascolto.
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