Ostuni biancheggia sullo sfondo, splendida, illuminata dalle luci della sera. Ho appena comprato il biglietto del concerto e la mia ragazza ha avvistato Manuel. Ha chiamato Manuel e lui ha accelerato il passo, evitandola. Dicono sia un po’ stronzo. Io vorrei parlarci per dirgli quanto sia importante per me, lui e la sua poesia. Ma quando lo vedo mangiare ad uno stand della festa di Liberazione non riesco ad avvicinarmi. E’ che ho paura faccia troppo lo stronzo, non lo sopporterei. In compenso stringo la mano a Giorgio Prette e ho l’enorme sollievo di constatare che è molto simpatico.
Gli Afterhours si fanno aspettare, non è una novità. Un’ora di calca con gente che sbuffa mi sembra anche poca, sono abituato a qualcosa in più. Poi i soliti giochi di luci, un simpatico intermezzo di presentazione di uno speaker genuinamente (e stereotipicamente) di sinistra,ed eccoli.Entrano veloci mentre un branco di urlatori dietro di me sgrana il solito coro di incitazioni a tonsille in fuori.
Manuel si avvicina, lui e la sua camicia rossa, capelli lunghetti, passo da star. Accosta le labbra al microfono e sussurra “Ciao” mentre imbraccia la sua Gibson.
E inizia quello per cui sono venuto da Bari, quello per cui l’avrò visto tante altre volte: sudore poesia e sangue. Non si sono mai risparmiati, per lo meno da quando li seguo. Non fanno eccezione, davanti alla città bianca, in una sera di stelle e luna. I primi pezzi sono una raffica dall’ultimo album, sciorinati come grani di un rosario, veloci, senza commenti: “La vedova bianca” , “Ballata per la mia piccola iena” , “E’ la fine la più importante” , “La sottile linea bianca” . Sembra vogliano smaltire i fumi di una vicina incazzatura, così, con le semplici note.
Ma la voce di Sua Maestà è già presente e già abbraccia chi è venuto a pogare, a spingere, ad urlare o a chiudere gli occhi. I suoni, come altre volte, non sono completamente a posto: c’è confusione a tratti cercata, a tratti involontaria. Le chitarre non sempre si distinguono. Ma le urla belluine alle mie spalle sembrano dire che è solo rock and roll, dopotutto: non siamo mica al conservatorio.
Poi lo stronzo sul palco si mette un po’ a parlare, sorride e ci dice che non vuole sembrare un leccaculo. Attaccano “Sui giovani d’oggi ci catarro su” e la platea risponde con la giusta violenza.
Il repertorio è molto diverso dal precedente tour, e così di “Quello che non c’è” sopravvivono solo tre canzoni: una splendida “Quello che non c’è” , l’intensa “Sulle labbra” e “Bye bye Bombay” . Tralasciato completamente “Non è per sempre”, la band si dedica ai primi due album in italiano.
Ci ritroviamo a sentire “Plastilina” (fra la perplessità di molti e il godimento del sottoscritto), mentre deposito anch’io le tonsille sulle transenne quando esplode “Strategie”. Cazzo, sì , “Strategie”.
Ovviamente non manca “Rapace”, con la selva di braccia e dita puntate verso l’alto.
“Male di miele”, stranamente lenta ma sempre coinvolgente.
“Dea” la canta Dario Ciffo, con Manuel che si limita a gridare, come noi del resto.
Nell’onda dal passato si intrufola la recente “Carne fresca”, poi sicuramente ho dimenticato qualcosa, ma tant’è.
Eccomi, sulle ultime note, sull’ultimo “Grazie”, al solito sussurrato con quella stronzissima aria da figo, a pensare che non me ne frega niente. Magari nella vita l’Agnelli è il re dei montati, ma quello che conta sono le emozioni che riesce a darmi. Che rimangono uniche, alla faccia di chi dà aria alla bocca dicendo che è bollito.
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